23/08/2006, 00.00
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Mindanao, la Chiesa "lavora per i tribali, non per i ribelli"

Il vescovo di Kidapawan, insieme al p. Peter Geremia del PIME, ha chiarito all'esercito di stanza nella zona la totale estraneità della Chiesa con la guerriglia comunista. I militari hanno anche offerto il loro aiuto alla missione pastorale nella diocesi.

Kidapawan (AsiaNews) – Il vescovo della diocesi di Kidapawan ed i suoi collaboratori - fra i quali il p. Peter Geremia, del Pontificio Istituto Missioni Estere - sono riusciti a convincere i militari di stanza a Mindanao che il loro lavoro pastorale con i tribali della zona non ha nulla a che fare con le attività di guerriglia dei ribelli locali. Il p. Geremia ha detto che alla fine essi sono riusciti a guadagnarsi la fiducia dell'esercito che si è proposto perfino di aiutarli nella loro missione.

Il risultato è stato ottenuto dopo due giorni di colloqui, il 20 ed il 21 agosto scorso, con i responsabili militari della zona, inviati dal presidente Gloria Macapagal Arroyo per stroncare la ribellione di Mindanao "con ogni mezzo". Nel corso delle operazioni, alcune "voci" avevano indicato infatti nei campi educativi e sanitari gestiti dalla Chiesa "i veri luoghi di addestramento alla ribellione".

"Ci siamo recati insieme a mons. Romulo Valles sulle montagne, presso i campi dove sono stanziati i militari – racconta ad AsiaNews il padre Geremia – ed abbiamo chiesto un chiarimento. Il colonnello che guida le operazioni ha parlato di accuse contro di noi, ma quando il vescovo gli ha chiesto delle prove concrete non è riuscito a formularne nessuna".

"Abbiamo saputo più tardi – continua il missionario – che i nostri nomi erano stati fatti da un uomo del posto, un informatore che era stato educato proprio nelle nostre scuole. Quest'uomo, però, non ha saputo presentare alcun fatto circostanziato che potesse accusarci di complicità con i ribelli ed il colonnello, incalzato da mons. Valles, ha ammesso di non credere alle accuse".

La diocesi di Kidapawan si trova nella parte meridionale dell'isola di Mindanao: comprende nove città della provincia di Cotabato, due di Maguindanao ed una di Sultan Kudarat. Essa copre un'area totale di 1.199 chilometri quadrati, con una popolazione di 670 mila abitanti. Il 78 % di questi è cattolico, mentre il 20 % è di fede musulmana: qui è scoppiato, nei primi anni '70, un sanguinoso conflitto fra le due comunità che ha provocato un numero imprecisato di morti. La zona è tesa anche per la "guerra delle terre", una battaglia fra bande paramilitari – a volte appoggiate dall'Esercito regolare – che in nome della "guerra al comunismo" uccide in maniera indistinta chiunque aiuti i poveri e gli indifesi. Fra le vittime vi è il padre del Pime Tullio Favali, ucciso l'11 aprile del 1985.

Il 19 giugno scorso sono morti altri due collaboratori della diocesi, George e Maricel Vigo - marito e moglie di 35 e 37 anni, con 5 figli – inseguiti in motocicletta mentre tornavano a casa e uccisi a colpi di arma da fuoco.

Nonostante il clima sia ancora più teso, per la presenza delle milizie ribelli comuniste, la Chiesa non ha mai smesso di adempiere alla sua missione soprattutto nei confronti della parte più debole della popolazione, i tribali. Qui sono attivi programmi diocesani che mirano alla formazione cristiana, alla vita familiare, alla cura dei giovani ed al ministero vocazionale. Insieme a questi, vi sono programmi al servizio dei tribali, aiuti legali ed economici, e per lo sviluppo sanitario della zona.

Il Centro per l'azione sociale di Kidapawan è stato iscritto nelle istituzioni locali con il nome di GKK-Kidapawan Foundation Inc. La fondazione cerca di contribuire allo sviluppo completo della popolazione in modo da poter affrontare al meglio i bisogni socio-economici della zona, basati su risorse naturali limitate. Sono attive delle cooperative popolari, dove si insegnano le basi di diversi lavori.

Il p. Geremia racconta che "da tempo, nella zona, si cerca di arrivare ad un compromesso ed ad un chiarimento con le forze dell'ordine. Noi siamo impegnati nel sociale a favore dei più poveri, questa è la nostra missione. Lo stesso vescovo, invitato dal colonnello ad interrompere queste attività per allontanare i sospetti, ha detto che questo è il lavoro che insegna il Vangelo ai suoi fedeli, e che senza di questo non si vive da cristiani".

"Alla fine – conclude – ringraziando Dio i militari ci hanno creduto e, scusandosi delle incomprensioni, ci hanno addirittura offerto il loro aiuto nel nostro lavoro. Hanno assicurato che non succederà nulla a nessuno di noi".

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