08/08/2011, 00.00
TIBET - CINA
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Lobsang Sangay: La soluzione del problema tibetano riguarda miliardi di persone in Asia

di Nirmala Carvalho
Intervista esclusiva di AsiaNews al nuovo premier tibetano, il primo dopo che il Dalai lama ha rinunciato, a suo favore, al ruolo di capo politico. Oggi Lobsang ha assunto i suoi pieni poteri. I rapporti con Cina, India e altri Paesi. Le sofferenze del popolo tibetano, la via per una soluzione.
Dharamsala (AsiaNews) - Ha assunto oggi i poteri Lobsang Sangay, premier del governo tibetano in esilio, eletto dopo che quest’anno il Dalai Lama ha comunicato la rinuncia al ruolo di capo politico del movimento tibetano per essere solo il loro leader religioso. Il precedente Kalon Tripa (primo ministro) del governo tibetano, Samdhong Rinpoche, era la reincarnazione di un lama e non ha mai avuto un ruolo effettivo di capo politico. Intervista esclusiva di AsiaNews al nuovo premier.

Quale è ora il rapporto del Kalon Tripa con il Dalai Lama e quale compito lo attende?
Assumo i miei compiti con il sostegno di Sua Santità il Dalai Lama e con il mandato democratico dei tibetani che vivono in esilio in 30 Paesi nel mondo. I valori che io chiedo per i tibetani sono quelli da loro goduti in India: libertà, uguaglianza e [rispetto per la loro] dignità.

Quale rapporto ha il popolo tibetano con quello cinese e quale con la Cina socialista?
Noi non abbiamo nulla contro il popolo cinese o la Nazione cinese, vogliamo risolvere la questione tibetana in modo pacifico attraverso il dialogo. Ma il popolo cinese deve sapere che, da un punto di vista storico, il Tibet e la Cina sono 2 entità differenti, come riconosciuto nel Trattato dell’821-822, che stabilisce che “i Tibetani saranno felici nella terra del Tibet e i cinesi lo saranno nella terra di Cina”. Quando nel 1959 la Cina invase il Tibet, promise ai tibetani il “paradiso socialista”. Sono state costruite importanti strade e attraverso queste strade sono stati portati in Cina gli abbondanti e non sfruttati minerali tibetani e le altre risorse naturali. Innumerevoli statue inestimabili e altre opere d’arte sono state portate in Cina, prese da monasteri e templi distrutti. In breve, il promesso “paradiso socialista” è stato invece un colonialismo, con le nostre risorse utilizzate per lo sviluppo della Cina. Il popolo tibetano ha resistito in modo determinato a questo sviluppo, ma la resistenza è stata stroncata con la forza militare. Questa è l’esperienza tibetana del “paradiso socialista”.

Come sono i vostri rapporti con l’India?
Noi saremo grati in eterno alla popolazione e al governo dell’India per averci dato un rifugio per i passati 50 anni. Per chi ci vive, l’India è la nostra seconda patria. L’amministrazione tibetana sosterrà la speciale relazione tra tibetani e indiani. Con umiltà, noi facciamo appello per il continuo sostegno e la benevola considerazione [di New Delhi] di trattare il Tibet come una delle questioni centrali nei rapporti tra India e Cina.

Quale controllo esercitano ora in Tibet le autorità cinesi?
Dopo 60 anni di malgoverno, i tibetani continuano a essere oppressi. Chiunque possieda un ritratto del Dalai Lama è arrestato, nella sua terra natale. Monaci e monache sono costretti a un duro lavoro. Persino il possesso di una copia della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo può causare problemi. Nel 2008, incapaci di accettate la condizione di cittadini di 2nda classe nel proprio Paese, i tibetani di ogni condizione nati e cresciuti sotto il “paradiso socialista”, sono insorti e hanno protestato in tutto il Tibet, da Dromo a Dartsedo e da Ngari a Ngaba. Coloro che hanno protestato non hanno mai incontrato il Dalai Lama e, anche se a pochi degli esiliati è stato consentito andare in Tibet, il nostro spirito è forte. Gli anziani hanno trasmesso la loro fede e la loro guida alla giovane generazione e io mi impegno a continuare la loro eredità e rendere più forte e sostenibile il nostro movimento per la libertà. Sulle orme del Mahatma Gandhi, il Dalai Lama si richiama alla ahimsa [non violenza], e anch’io la sottoscrivo. Il Dalai Lama ha proposto una “soluzione di mezzo”, chiede una genuina autonomia per il Tibet dentro la Cina, che io sostengo perché sono convinto nella forza del dialogo pacifico per raggiungere un cambiamento. Anche se continuerò a battermi con ardore per i diritti dei tibetani, un vero progresso richiederà la cooperazione di tutte le parti. Attraverso il pacifico dialogo e la comunicazione, sono convinto con sincerità che abbiamo la possibilità di creare una soluzione significativa che soddisfi gli interessi sia tibetani che cinesi.

Pechino insiste che il Tibet sia una sua “questione interna”. Lei ritiene invece che il futuro dei tibetani riguardi la comunità internazionale?
Una soluzione equa e rapida della questione tibetana è interesse dell’intera Asia. Per migliaia di anni, il popolo tibetano è stato guardiano responsabile dell’ambiente dell’altopiano più elevato ed esteso del mondo, dove nascono 10 grandi fiumi, che contribuiscono al tenore di vita di oltre 2 miliardi di persone. Le dighe cinesi sui fiumi che nascono in Tibet colpiranno il tenore di vita dei milioni di persone che vivono a valle. Per questo milioni di abitanti dell’Asia hanno legittimo interesse a vedere che al popolo tibetano sia restituito il tradizionale ruolo di guardiano dell’ambiente dell’Altopiano del Tibet. Questo trascende la politica, tocca il benessere dell’Asia.

Cosa vuole dire ai lettori di AsiaNews?
Stati Uniti ed Europa sono stati in prima linea nel sostenere i diritti dei tibetani, per la storia dell’Europa loro hanno un forte coinvolgimento con riguarda ai diritti umani e alla democrazia. Anche l’India ha dato grande sostegno. Noi siamo davvero grati a queste popolazioni europee e ai governi e li ringraziamo per il loro sostegno umanitario e politico.

Ci vuole dire le sue preoccupazioni e impegni come Primo Ministro?
L’incarico da premier suscita entusiasmo e fa riflettere. Come tibetano, ho l’onore e l’opportunità di guidare la nostra gente e sarò felice di adempiere con tutto il mio impegno il compito affidatomi. D’altra parte ho il dovere di occuparmi del nostro popolo che soffre in Tibet, le loro sofferenze e dolori sono le mie, ogni giorno [mi impegnerò per] raggiungere loro e lenire i loro tormenti. E per essere ogni giorno la loro voce, nelle loro difficoltà e realtà.
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