15/12/2006, 00.00
CINA
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Lo Stato non riesce a “controllare” la fede

La pretesa del Partito che ogni attività religiosa avvenga dentro organizzazioni statali fa aumentare i fedeli “sotterranei”. Le comunità religiose acquistano sempre maggiore autonomia.
Pechino (AsiaNews/Forum18) – La pretesa del Partito comunista cinese di controllare ogni aspetto della vita religiosa, che è in crescita, sta causando una crescente diffusione di gruppi religiosi indipendenti dalle organizzazioni statali e persino “sotterranei”. Il problema riguarda soprattutto i protestanti "non ufficiali" - fino a 80 milioni, secondo alcune fonti - che sono una decina di vote più numerosi degli "ufficiali".
La Repubblica popolare cinese esige che per svolgere qualsiasi attività pubblica e privata, ogni gruppo religioso sia registrato presso l’Ufficio affari religiosi. Chi non lo fa svolge attività “illegale”, e può subire gravi sanzioni, fino al carcere. In Cina ci sono 7 organizzazioni religiose ufficiali, controllate dallo Stato, che rappresentano le sole 5 religioni riconosciute (Buddismo, Taoismo, Islam, Chiesa cattolica e protestante) : le Associazioni patriottiche buddista, cattolica (Apcc), taoista e islamica, la Conferenza dei vescovi cinesi e le due protestanti Movimento delle tre autonomie (Mta) e Consiglio cinese cristiano. Uno studio dell’agenzia Forum 18 dedicato ai cambiamenti in atto, ricorda che queste 7 organizzazioni pretendono che tutti i gruppi si affilino a loro, per ottenere il riconoscimento ed esistere. All’inizio si volevano così impedire collegamenti con soggetti esteri. Ma ora – osservano esperti – questi enti vogliono difendere il loro potere ed essere i soli che beneficiano di sussidi pubblici economici e sociali.
Sono sempre più numerosi, però, gruppi di credenti che rifiutano l’affiliazione, anche per non dovere rinunciare all’autonomia in materia di fede. Ad esempio, l’Apcc pretende che i cattolici si riferiscano a lei e non al Papa. In alcun zone del Paese i gruppi religiosi riescono comunque a registrarsi in modo autonomo, come ad esempio i cristiani ortodossi nel settentrione e molti gruppi cristiani avventisti e pentecostali. Ma in altre aree le autorità locali pretendono il consenso delle organizzazioni ufficiali, ad esempio spesso preteso per ammettere nuovi gruppi protestanti.
Il risultato è la crescita dei gruppi religiosi “sotterranei”, che professano la fede di nascosto e si  riuniscono in case private per pregare e parlare di religione. Da anni Pechino combatte le “chiese domestiche” protestanti, ma non riesce a stroncarle, nonostante sanzioni e prigionie. In questo modo, commenta Forum 18, i credenti che vogliono professare la loro fede sono costretti ad agire “fuori legge”. Questa situazione è causa non secondaria di disordini e proteste sociali, mentre la politica cinese si attira il biasimo internazionale per la violazione dell’elementare diritto di professare la fede.
Ma non è così ovunque: in alcune zone anche i gruppi religiosi minori sono valorizzati negli stessi enti ufficiali: ad esempio, nello Jiangsu ci sono molti cristiani avventisti tra i leader dell’Mta.
Forum 18 osserva, ancora, che le organizzazioni ufficiali nemmeno sono unite al loro interno, cosa che rende ancora meno credibile la pretesa di dirigere ogni aspetto della vita religiosa. Ad esempio, i buddisti di etnia Han sono del tutto distinti dai buddisti tibetani che riconoscono la guida spirituale del Dalai Lama. In province come il Gansu ci sono più moschee in uno stesso villaggio, ciascuna che propugna una propria forma di islam. Si genera così un clima di progressiva confusione, utile solo per chi vuole mantenere un potere politico e non certo benefico per l’attività religiosa ma ancor meno per la società.
In questa ottica il vescovo Ding Guangxun, esponente eminente del Mta/Ccc, sottolinea spesso la necessità del rispetto reciproco tra gruppi religiosi. E’ stato ordinato come prete anglicano nel 1942 e nominato vescovo nel 1955, ma ora la Chiesa anglicana non ha riconoscimento legale, tranne che a Hong Kong, per cui è vescovo di una fede che ora non è ufficialmente ammessa. (PB)
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