16/05/2016, 15.21
ISRAELE - PALESTINA
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Leader palestinese: Nakba, da catastrofe a occasione per costruire il futuro con Israele

Ieri i palestinesi hanno celebrato la giornata che, nel ’48, ha segnato la cacciata di centinaia di migliaia di palestinesi e la nascita di Israele. Per il prof. Sabella essa è “promemoria” di “mali ed errori” che vanno sanati per fare giustizia. Dalla destra israeliana al potere il pericolo di una deriva anti-democratica. Unità fra Gaza e Ramallah ed elezioni per una nuova leadership.

Gerusalemme (AsiaNews) - La Nakba è un “promemoria”, il ricordo “del male e degli errori” compiuti ai danni “del popolo palestinese”, sebbene alcuni “in Israele e in Occidente” vogliano “negare” questo dato storico. È quanto afferma ad AsiaNews il prof. Bernard Sabella, cattolico, rappresentante di Fatah per Gerusalemme e segretario esecutivo del servizio ai rifugiati palestinesi del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente. Tuttavia il leader cattolico sottolinea che dietro le celebrazioni non vi è tanto la richiesta “di tornare nelle abitazioni di un tempo. I miei genitori avevano una casa e sono stati cacciati, non per questo io dico che ci voglio ritornare. I tempi sono cambiati, le ferite non si possono cancellare ma è arrivato il momento di sanarle e di fare giustizia”. 

Ieri decine di migliaia di palestinesi hanno celebrato la Nakba, (“la catastrofe”, come i palestinesi chiamano ciò che accadde nel 1948, con la nascita di Israele). All’epoca oltre 760mila palestinesi - che oggi sono saliti a 5,5 milioni grazie alla discendenza - sono stati cacciati dalle loro case e dalle loro terre o hanno dovuto abbandonarle in tutta fretta. A mezzogiorno le sirene in Cisgiordania hanno suonato per 68 secondi, uno per ogni anno trascorso; a Ramallah e Betlemme auto e pedoni hanno bloccato il traffico. I dimostranti hanno sventolato bandiere palestinesi e intonato slogan.

Il nostro desiderio di ricordare la Nakba, racconta il prof Sabella, “non significa che non vogliamo riconoscere Israele, quanto piuttosto che è necessario fare giustizia”. Ciò che spaventa, prosegue il leader cattolico, “è la deriva a destra di Israele e del suo governo, che sta emarginando [se non attaccando] tutti gli elementi della società civile, personalità e movimenti che si battono nel sociale e per i diritti. Se vince questa retorica, è in pericolo l’essenza stessa del Paese”.

In questi anni Israele, ricorda il rappresentante di Fatah, ha stretto alleanze strategiche con diverse nazioni arabe in chiave anti-iraniana; il clima è “cambiato” e la leadership israeliana al potere non può più affermare che la nazione è circondata da “forze ostili”.

Al riguardo di recente sono emerse voci critiche anche all’interno del Paese. Shumel Meyer, intellettuale e scrittore israeliano, in un editoriale pubblicato da Le Monde sottolinea che “Israele deve evacuare tutti i territori palestinesi, per poter ritrovare la propria anima”. Egli avverte che “la democrazia è in pericolo”, confermando quanto ha affermato nei giorni scorsi ad AsiaNews Nadav Bigelman di Breaking the Silence (Bts), secondo cui “i valori democratici sono sotto attacco”.
Meyer definisce il premier Benjamin Netanyahu “un demagogo […] senza spina dorsale”, che mira solo a restare al potere, grazie anche alla mancanza di un’alternativa, per la crisi di una sinistra senza più identità. L’unica soluzione è “il ritiro unilaterale da tutti i territori”, lasciando ai coloni la scelta di rimanere come “israeliani all’estero, ebrei palestinesi o anche marziani”.

Intanto un altro anniversario significativo si affaccia all’orizzonte: il prossimo anno, il 5 giugno 2017, saranno trascorsi 50 anni dalla Guerra dei sei giorni, che ha dato il via all’occupazione dei territori. Fra i palestinesi cresce il senso di umiliazione, frustrazione, ira e a poco serve il tentativo dei dirigenti di Fatah di fare pressioni sul quartetto per il Medio oriente (Stati Uniti, Unione europea, Onu e Russia), perché faccia del 2017 l’anno dell’indipendenza palestinese.

“Vi sono due elementi essenziali, spiega il prof. Sabella, che la politica palestinese “deve affrontare: uno di questi è l’unità fra Gaza e Ramallah”, rendere possibile una vera “riconciliazione fra i due fronti”. E da fonti interne  alla Striscia emerge con sempre maggiore forza nella popolazione una “insoddisfazione” verso il dominio di Hamas. Il secondo punto, aggiunge, è che “sono necessarie elezioni parlamentari e presidenziali” che in Palestina non si tengono “dal 2006”. Ormai il Parlamento è “messo da parte” e questo complica il processo democratico; di tutto questo “i palestinesi sono stanchi”. Le elezioni sono necessarie, a dispetto “dell’opposizione” dei vertici della Striscia. Infine, serve una “visione comune” con Israele, un confronto per costruire assieme “il futuro, fare in modo che si viva fianco a fianco in armonia, mettendo da parte il conflitto. Serve una via di mezzo, bisogna costruire ponti e non muri come ricorda papa Francesco. È una sfida difficile - conclude - che dobbiamo vincere. Non succederà domani, ma dobbiamo continuare a provarci”. 

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