21/01/2012, 00.00
PAKISTAN
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Lahore, i cattolici ricorrono in tribunale contro la "blasfema" demolizione del loro istituto

di Jibran Khan
Una donna ha sporto denuncia contro le autorità, per l’abbattimento della “Gosha-e-Aman”. Fra i reati si ipotizza la violazione della legge sulla blasfemia, per la distruzione di copie della Bibbia e di una chiesa. Arcivescovo emerito: il governo provinciale “a corto di fondi” cerca “facili obiettivi per sanare il deficit di bilancio”.
Lahore (AsiaNews) – La comunità cattolica di Lahore si ribella alla demolizione illegale della “Gosha-e-Aman”, un “luogo di pace” che accoglieva cristiani e musulmani, avvenuto lo scorso 10 gennaio ad opera del governo provinciale del Punjab. Una vittima si è rivolta al tribunale, presentando una denuncia scritta contro l’Autorità per lo sviluppo e gli altri funzionari coinvolti nella vicenda. Intanto emerge che uno dei funzionari di polizia presenti durante l’abbattimento dell’edificio (Malik Ahmed Raza Tahir), era il responsabile della sicurezza a Gojra, nell’agosto 2009, quando una folla di estremisti ha attaccato la minoranza cristiana locale, causando sette morti – arsi vivi – e incendiando numerose case e proprietà.

Interpellato da AsiaNews, l’arcivescovo emerito mons. Lawrence Saldanha condanna l’abbattimento deciso dalle autorità; il prelato sottolinea che siamo al cospetto di “un’istituzione antica e degna di rispetto”, posseduta “in pace dalla Chiesa per 125 anni” e usata “a fini di carità”.

I fedeli hanno ribattezzato lo scorso 10 gennaio come “martedì nero”; essi chiedono la restituzione della proprietà e il risarcimento dei danni; in caso contrario, avvisano, le proteste continueranno sino a che le autorità soddisferanno le loro domande. L’istituto “Gosha-e-Aman”, fondato nel 1887, è circondato da due acri di terreno, per un valore complessivo di miliardi di rupie. Al suo interno vi erano una casa di accoglienza per anziani, una scuola per ragazze, un convento e una cappella per la preghiera. La controversia relativa al possesso dell’edificio e dell’area circostante era da tempo al centro di una vertenza legale; a innescare la vicenda pare sia stata una donna – convertita all’islam – che in passato ha cercato ospitalità presso il centro.

Leader cristiani e funzionari governativi cattolici hanno manifestato solidarietà alle vittime, in cerca di un riparo di fortuna che possa accoglierle nelle prossime settimane. A Lahore cattolici, anglicani, cristiani protestanti e varie organizzazioni non governative hanno condannato con forza l’abuso compiuto dal governo locale. Zenobia Richards, 61 anni, una delle vittime della demolizione, ha promosso una vertenza legale sottoscrivendo una petizione all’Alta corte, citando in causa l’Autorità per lo sviluppo cittadina, insieme ad altri funzionari. La donna ha lavorato 24 anni per la Caritas pakistana e viveva nella “Gosha-e-Aman”. “Era un centro di pace – racconta – un sacco di ricordi mi legano a quel posto. Per questo ho voluto intentare una causa contro quanti hanno demolito un edificio, che io chiamo casa”.

Durante le operazioni di demolizione, gli operai hanno distrutto anche una statua della Madonna e diverse copie della Bibbia: “Ero solita pregare in questo posto” aggiunge Zenobia (nella foto, sulle macerie dell’edificio) ed è per questo che “intendo una causa in base al reato di blasfemia” perché hanno “dissacrato una chiesa e materiale religioso in casa mia”. “Non si tratta solo di un pezzo di terra – aggiunge – ma di emozioni, sentimenti, diritti delle minoranze in Pakistan”. Dice di non avere “paura di nessuno” e punta il dito contro il ministero per le Minoranze del Punjab: “combatterò per i miei diritti”, conclude, confermando di aver depositato oggi il ricorso in tribunale.

Mons. Saldanha, arcivescovo emerito di Lahore, parla di “evidente violazione dei diritti delle minoranze”. Il prelato spiega ad AsiaNews che il governo “è a corto di fondi” e per questo cerca “facili obiettivi per sanare il deficit di bilancio”. Egli aggiunge che i cattolici possono e devono continuare nella protesta e “lanciare appelli alla comunità internazionale: io stesso mi sono rivolto al Dipartimento per la libertà religiosa in Canada”. L’arcivescovo auspica che la pressione internazionale “sortisca un effetto positivo e i mafiosi in cerca di terra non riescano a spuntarla nei loro intenti criminali”.
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