21/10/2008, 00.00
CINA
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La Cina chiede l’aiuto internazionale per arrestare 8 "terroristi islamici"

Pubblicata una lista di 8 presunti terroristi dello Xinjiang, accusati di attentati durante le Olimpiadi. Ma esperti osservano che non sono indicate prove. Gli Uighuri dello Xinjiang, regione ricca di petrolio e materie prime, da anni sottoposti a un vero genocidio culturale.

Pechino (AsiaNews/Agenzie) – La Cina ha oggi reso nota una lista di 8 “terroristi” dello Xinjiang  che hanno organizzato attentati durante le Olimpiadi di Pechino e, con un’iniziativa senza precedenti, ha chiesto aiuto alla comunità internazionale per catturarli.

Wu Heping, portavoce del ministro per la Pubblica sicurezza, dice che “gli 8 sono membri chiave del Movimento islamico del Turkestan orientale (Etim) [gruppo che l’Onu considera collegato ai terroristi di al Qaeda] e hanno tutti partecipato a ideare, organizzare ed attuare attività terroriste violente durante le Olimpiadi”, anche all’estero. Peraltro non ha fornito maggiori dettagli. Tra loro, Memetiming Memeti è indicato come il capo dell’Etim, che ha ricevuto aiuto “da alcuni Paesi dell’Asia occidentale” per avere denaro ed esplosivi e fare attentati in Cina e altrove. Gli altri sono accusati di avere a vario titolo partecipato agli attentanti e al reclutamento e all’addestramento di terroristi.

Nella regione dello Xinjiang, importante per la posizione strategica e per le ricche risorse naturali, ci sono stati quest’anno attentati che hanno ucciso 16 poliziotti proprio ad agosto nel periodo olimpico. Pechino ha accusato i militanti islamici della zona. Ad aprile la polizia ha arrestato decine di presunti terroristi dello Xinjiang, accusati di organizzare attentati e il rapimento di atleti. Di tutte queste violenze non vi sono conferme indipendenti.

La Cina, a sua volta, è accusata di attuare un vero genocidio culturale nella regione, cercando di eliminare la lingua e le abitudini dei locali Uighuri e favorendo l’immigrazione di etnici Han, a cui sono assegnati posti di potere e vari vantaggi. Al punto che gli 8 milioni di Uighuri costituiscono ormai solo il 46% della popolazione di 19 milioni.

Pechino ha emanato una miriade di regole per rendere difficile la vita agli islamici Uighuri. Ad esempio ci sono decreti pubblici secondo i quali il sermone durante la funzione del venerdì (giorno sacro islamico) non può eccedere la mezz’ora; è proibito pregare in zone pubbliche esterne alla moschea i dipendenti pubblici non possono essere “costretti” a partecipare alle funzione in moschea (modo “gentile” di indicare a dipendenti pubblici e membri del Partito comunista di non andarci affatto). Gli imam non possono insegnare il Corano “in privato”; lo studio dell’arabo è ammesso solo in apposite scuole pubbliche, studenti e dipendenti pubblici sono costretti a mangiare e a non rispettare il digiuno durante il sacro mese del Ramadan. I passaporti degli Uighuri sono confiscati, così che chi vuole partecipare all’annuale pellegrinaggio hajj alla Mecca può solo unirsi ai viaggi organizzati dal governo per un costo di circa 3.700 dollari, o andarci illegalmente. Chi chiede di andarci, poi, è sottoposto ad attente indagini della polizia, compresa la verifica delle effettive capacità economiche.

Secondo Dilxat Raxit, portavoce del Congresso mondiale degli Uighuri, “questa lista [dei terroristi] ha motivazioni politiche. Non è stata prodotta nessuna prova delle accuse”.

Per ragioni simili gli Stati Uniti non rimpatriano in Cina i circa 255 Uighuri islamici cinesi, che vivevano in Afghanistan e sono fuggiti in Pakistan dopo l’attacco Usa nell’ottobre 2001. Qui sono stati catturati ed estradati negli Stati Uniti, dove per anni sono stati detenuti a Guantanamo. Ora molti sono in procinto di essere liberati, ma non saranno rimpatriati per timore che la Cina possa imprigionarli senza ragione.

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