02/05/2006, 00.00
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L'Iran e le sanzioni internazionali: 15 vicini, nessun alleato

di Dariush Mirzai

L'unico Paese sciita sembra prepararsi ad affrontare le sanzioni internazionali per il nucleare, avendo dalla sua solo la solidarietà antioccidentale e tenta la carta terzomondiale, offrendo prezzi bassi per il petrolio e tecnologia nucleare ai Paesi poveri. Il confronto con il mondo ha quasi bloccato lo sviluppo economico.

Teheran (AsiaNews) – "L'Iran ha 15 vicini e nessun alleato strategico". Dopo quattro anni in Iran, e poco prima dalla partenza, un ambasciatore europeo riassumeva così la situazione del Paese che sembra ormai prepararsi ad affrontare sul piano interno e su quello internazionale, le sanzioni internazionali. Secondo il diplomatico, la mancanza di alleati strategici ha sempre costretto la gran nazione millenaria, primo popolo islamizzato ad aver resistito all'arabizzazione, a giocare a scacchi (oggi spesso anche a poker) e a contrarre semplici alleanze tattiche.

Oggi, dietro i poteri "arroganti" (gli USA, l'Occidente), quello che fa paura all'Iran sembra d'essere prima di tutto la mondializzazione: il fatto di dover esporsi alla concorrenza ed a regole universali – quelle della WTO come quelle dei diritti umani. Nella disputa nucleare, il regime iraniano ha difficoltà ad accettare regole internazionali e cerca di guadagnare prestigio e di fare del Paese un "santuario" protetto da attacchi esterni e sovversione interna. Fino ad un certo punto, il governo dell'Iran non teme l'isolamento: lo spera, forse.

Pochissimi sono stati i giornali iraniani a parlare apertamente e in concreto delle conseguenze di sanzioni internazionali. L'Iran pagherebbe un prezzo altissimo e lo paga già adesso: chi vuole ancore far investimenti nel Paese o, se iraniano, mantenervi i propri capitali? Lo sviluppo economico è già quasi bloccato: non c'è altro che il commercio (o il traffico) per far fortuna. E la tendenza crescerebbe ancora nel caso di sanzioni. Il rialzo del prezzo del petrolio è una benedizione per il regime, che deve però rinunciare ad una parte della manna: la metà dei carburanti consumati nell'Iran è importata, perché il Paese non ha sufficienti capacità di raffinazione. Per il momento, questo costa all'Iran solo il prezzo delle sovvenzioni per i consumatori. Ma se un giorno l'Iran non potesse far commercio del petrolio, pure gli iraniani soffrirebbero della penuria!

Questo scenario non disturba troppo gli "affaristi" e non fa paura ai settori fanatici del regime, che sperano in una nuova "epopea gloriosa". Se l'epopea diventa tragedia e caos, questo non potrebbe che favorire l'avvenimento del Mahdi, dell'Imam nascosto, il Messia dello sciismo. Per il momento, il discorso ufficiale per la popolazione consiste nell'esaltare i progressi scientifici e le capacità di difesa militare del Paese, nel criticare l'Occidente che vuole privare l'Iran dello sviluppo tecnologico. Si parlava poco delle proposte europee di cooperazione (economica, politica, scientifica, ecc.) fatte sei mesi fa nel caso che l'Iran avesse rinunciato al programma nucleare. Non se ne parla più. Minoritari sono quelli che, come i sostenitori del riformista Karrubi, accennano al prezzo delle sanzioni per l'Iran e cercano, attivamente ma sottovoce, di promuovere un accordo sincero con i Russi, piuttosto che accettare il rischio di affrontare il mondo intero.

Il mondo intero, meno, per il momento, gli alleati dell'Iran. Non si tratta di veri "amici". L'opposizione agli USA, o degli USA, crea delle alleanze temporanee con la Siria, Cuba o il Venezuela. La Russia ha una posizione propria verso l'Iran che, come quella dell'Armenia, ha una lunga storia, ma non è quella di un'alleanza strategica. La Cina vuole prima di tutto preservare l'approvvigionamento di idrocarburi per il futuro e coopera con l'Iran in modo pragmatico, se non cinico: fa degli investimenti in Iran, modernizza pure i treni che portano i pellegrini sciiti da Teheran al santuario di Mashad – e non contesta il fatto che in Iran i cinesi non musulmani o non cristiani non hanno una piena esistenza legale in quanto esseri umani (neppure il diritto alla sepoltura: un trucco permette di tumularli nel cimitero tedesco protestante).

"Bismillah al rahman…". Così, usando le parole arabe del Corano che parlano del Dio clemente e misericordioso, cominciano generalmente i discorsi degli esponenti del regime – e talvolta quelli dell'ambasciatore del Venezuela. Non di tratta di esprimere la propria fede, ma di dare affidamento. Sottomissione visibile e pragmatica al sistema. (Gli Iraniani più moderati parlano solo "nel nome di Dio", usando il Farsi "Be name Khoda"; altri, quasi dissidenti, aggiungono ad esempio "e nel nome della bellezza e della verità".)

Gli eccessi e i misfatti del regime dal 1979 hanno rinforzato l'anticlericalismo nella popolazione iraniana: l'Islam non è un vero fattore d'unità. Non è neppure per l'Iran un mezzo d'irraggiamento, come aveva sperato Khomeini. Non lo è, e non lo potrà forse mai diventare, perché pare sostanzialmente impossibile un movimento ecumenico islamico tra la maggioranza sunnita e la minoranza sciita. L'Iran è l'unico "Paese sciita": ci sono delle importante comunità sciite in Libano e in Iraq, ma oggi per l'Iran, sembrano prima di tutto servire d'appoggio nella dimostrazione che Teheran può diventare sorgente inquinante in questi due Paesi martirizzati.

Nell'ambito politico del Medio Oriente, lo sviluppo più incoraggiante per l'Iran è stato la vittoria elettorale di Hamas nei Territori palestinesi occupati – ma i Palestinesi musulmani non sono sciiti. La loro qualità è di essere vittime e nemici di Israele – e sono arabi...

Non solo sul punto di vista culturale, ma anche sul punto di visto religioso, i legami dell'Iran con la Terra Santa sono assai sottili. Per la maggioranza degli iraniani, le città sante irachene di Kerbala o Najaf e quelle iraniane di Mashad e di Qom hanno più valore religioso di Gerusalemme. Con Hamas, ancora una volta, alleanza tattica.

In modo assai abile, qualche giorno fa, invece di parlare solo d'Islam, il governo iraniano ha deciso di giocare la carta del terzo mondo e ha espresso due idee nuove. La prima sarebbe di creare un fondo per ridurre il prezzo del petrolio solo per i Paesi poveri: l'Occidente ricco dovrebbe pagare ancora di più, magari 100 $ al barile. L'altra idea è l'offerta, da parte dell'Iran, di disseminare la tecnologia nucleare e farne approfittare i Paesi poveri, in particolare quelli islamici. Questa ultima proposta si deve leggere come una provocazione verso l'Occidente, un po' come la prima.

Parole, parole… l'Iran prende in un certo senso il posto lasciato libero dalla Libia. Ma questa retorica è anche per il governo iraniano una maniera di prepararsi moralmente e ideologicamente, all'interno come all'esterno, alle sanzioni internazionali.

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