21/03/2017, 15.59
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Kardze, in risposta all’immolazione di Pema Gyaltsen centinaia di arresti fra i tibetani

di Christopher Sharma

A 58 anni dalla rivolta di Lhasa, continuano le proteste per la libertà del popolo tibetano e il ritorno del Dalai Lama. Il braccio di ferro fra India e Cina sul leader spirituale del buddismo tibetano. Ancora ignote le condizioni di Pema Gyaltsen, immolatosi nel fine settimana in segno di protesta.

Kathmandu (AsiaNews) – Quasi 200 tibetani residenti a Kardze (in cinese: Ganzi), nel Sichuan tibetano, sono stati arrestati in seguito all’autoimmolazione di Pema Gyaltsen, agricoltore tibetano 24enne. Il giovane si è dato alle fiamme il 18 marzo scorso in segno di protesta, per ottenere il ritorno del Dalai Lama in Tibet e per la libertà nella regione. Il suo gesto ha attirato l’attenzione di molte persone e originato l’intervento delle forze dell’ordine, che hanno sgombrato l’area e preso in custodia molti fra sostenitori e semplici testimoni.

Gyaltsen è stato prelevato dalle autorità e al momento si trova in condizioni ignote presso un ospedale a Chengdu.

Una fonte anonima racconta che “i quasi 200 tibetani che hanno provato a sostenere la protesta di Gyaltsen sono stati portati via e a molti di loro [le autorità] hanno sequestrato i cellulari”. La maggior parte delle proteste riguardano la libertà per il popolo tibetano e il ritorno del Dalai Lama dall’India, dove il leader spirituale buddista si è rifugiato in seguito alla sanguinosa repressione militare cinese della rivolta tibetana del 1959.

Al presente, più di 2mila rifugiati tibetani vivono in Nepal per timore delle continue repressioni cinesi. Gyalbo Lama, rifugiato tibetano in Nepal, sostiene che “la repressione cinese non si limita al Tibet, ma ha grande influenza anche in Nepal”.

Il governo di Pechino ha intimato all’India di non permettere al Dalai Lama di visitare Bihar (provincia indiana del nord, al confine con la Cina), dove il leader spirituale dovrebbe intervenire al Seminario internazionale buddista. La scorsa settimana, il governo cinese ha affermato che “l’imminente visita del Dalai Lama potrebbe danneggiare le relazioni bilaterali fra India e Cina”. Tuttavia, Gopal Baglay, portavoce del ministero indiano degli Esteri ha comunicato che “la posizione del governo riguardo il caso del Dalai Lama è chiaro e coerente” e che “non è possibile proibire al leader spirituale di svolgere le proprie attività”.

Le proteste per la libertà del Tibet e il ritorno del Dalai Lama hanno avuto luogo anche in Cina. La scorsa settimana la polizia cinese della contea di Ngaba (Sichuan) ha arrestato un monaco tibetano e una donna perché avevano promosso una protesta – in due momenti distinti – in nome della libertà per il Tibet. Nella prima, Lobsang Dargye, monaco appartenente al monastero di Kirti di Ngaba ha iniziato a urlare slogan sulla strada principale della contea. Un testimone anonimo afferma che “il monaco è stato fermato subito”, perché la sua protesta è avvenuta “in prossimità del 10 marzo, anniversario della rivolta di Lhasa” e la zona era presidiata da numerosi reparti della sicurezza.

Il 10 marzo 1959, la collera del popolo tibetano verso la repressione di Pechino – che da quasi 10 anni cercava di imporre il controllo militare e politico della regione indipendente del Tibet – è sfociata in una rivolta popolare che ha portato all’uccisione di almeno 87mila tibetani. Negli ultimi anni, per timore di nuove proteste, le autorità cinesi affollano le strade nei giorni dell’anniversario. Una fonte locale, contattata da Radio Free Asia (Rfa), riferisce che le misure di sicurezza dureranno fino al 25 marzo. 

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