25/01/2017, 08.46
ISRAELE - PALESTINA - ONU
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Israele vuole costruire migliaia di nuove abitazioni nei Territori. Condanna Onu

Il governo ha annunciato la realizzazione di 2500 nuove unità abitative. Il progetto di espansione più imponente degli ultimi anni. Ferma condanna dei palestinesi. Contrarie le Nazioni Unite: “Azioni unilaterali” ostacolo alla pace e alla soluzione dei due Stati. Nessun commento dalla Casa Bianca, che conferma la volontà di “riavvicinarsi” a Israele. 

 

Gerusalemme (AsiaNews/Agenzie) - Le Nazioni Unite hanno condannato il progetto di Israele, che prevede la costruzione di nuovi insediamenti e l’ampliamento di alcuni di essi nei Territori occupati in Cisgiordania. Un alto funzionario Onu ha affermato che queste “azioni unilaterali” da parte del governo guidato da Benjamin Netanyahu sono un ostacolo alla pace e alla soluzione dei due Stati. Bocche cucite, invece, alla Casa Bianca dove la neo amministrazione Usa guidata da Donald Trump non ha voluto commentare la decisione di Israele. 

Ieri il premier Netanyahu ha annunciato la realizzazione di 2.500 nuove case - il progetto più imponente degli ultimi anni - negli insediamenti ebraici, in “risposta ai bisogni abitativi”. Si tratta del secondo annuncio di questa natura in pochi giorni; all’indomani del giuramento del neo presidente Trump, il 20 gennaio scorso, il governo aveva concesso il via libera a centinaia di nuovi insediamenti.

Nel pomeriggio di ieri l’approvazione di altre migliaia di unità abitative. Una decisione che ha fatto infuriare i vertici palestinesi, che definiscono sempre più remote le speranze di pace e la possibilità di vedere nascere un futuro Stato sulla loro terra. Hanan Ashrawi, membro del comitato esecutivo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) parla di “furto di terre” e di neo “colonialismo”. 

Intervenendo sulla questione Stephane Dujarric, portavoce del segretario generale Onu Antonio Gutierres, sottolinea che “per il segretario generale non esiste un piano B alla soluzione del due Stati”. In questo senso, aggiunge, “ogni azione unilaterale” che può essere un “ostacolo” all’obiettivo finale è fonte di “grave preoccupazione”. “È necessario - conclude - che le due parti si impegnino in un autentico negoziato per raggiungere l’obiettivo dei due Stati, per due popoli”. 

A parole, nei giorni scorsi, Netanyahu ha affermato di voler perseguire ancora l’obiettivo dei due Stati; in realtà, egli ha impresso una accelerazione mai vista prima alle colonie che rischiano di distruggere o impossessarsi dello spazio fisico e geografico per la nascita di un futuro Stato palestinese. 

La Casa Bianca non ha voluto commentare i nuovi progetti espansionisti di Israele. Interrogato sulla questione, il portavoce Sean Spicer ha affermato che “Israele è un alleato molto importante degli Stati Uniti”, il presidente vuole “riavvicinarsi” alla leadership ebraica dopo anni di tensione con la precedente amministrazione Obama e rimanda ogni ulteriore questione al faccia a faccia fra Trump e Netanyahu a febbraio. 

Sotto il governo Netanyahu vi è stato un considerevole incremento delle colonie israeliane. Nel 2015 almeno 15mila nuovi coloni si sono trasferitisi nella West Bank. Secondo l’organizzazione Peace Now nel 2016 l’amministrazione israeliana ha dato il via libera a 2.623 nuovi insediamenti. Fra questi vi sono 756 case abusive e “legalizzate” a posteriori.

Ad oggi almeno 570mila cittadini israeliani vivono in oltre 130 insediamenti costruiti da Israele a partire dal 1967, data di inizio dell’occupazione e cresciuti a ritmo esponenziale negli ultimi tempi grazie alla politica espansionista del governo israeliano. Agli insediamenti si aggiungono anche almeno 97 avamposti, considerati illegali non solo dal diritto internazionale ma dallo stesso governo israeliano.

I colloqui di pace si sono interrotti nel 2014, innescando una escalation di violenze di fronte alle quali si è rivelata sempre più evidente l’inerzia (o impotenza) della comunità internazionale. A metà mese si è tenuta una conferenza di pace sul Medio oriente a Parigi, alla quale non era presente nessuno dei due fronti israelo-palestinese e che si è conclusa con una sterile dichiarazione di intenti.

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