Israele, 18 mesi al soldato che ha ucciso l’assalitore palestinese a terra e inerme. Peace Now: “Situazione esplosiva”
Lieve pena detentiva per il sergente Elor Azaria. L’omicidio prevede sino a 20 anni di carcere. Il pm aveva chiesto una condanna fra i tre e i cinque anni. L’udienza si è tenuta presso il ministero della Difesa a Tel Aviv. All’esterno imponenti misure di sicurezza. Attivisti e militanti di destra in piazza contro la condanna. Attivista israeliana: Possibili influenze esterne, atmosfera tossica.
Gerusalemme (AsiaNews) - Il soldato israeliano che ha ucciso un assalitore palestinese, steso a terra e inerme, e condannato per questo ai primi di gennaio da un tribunale militare in base all’accusa di omicidio, dovrà scontare 18 mesi di carcere. È la decisione presa dai giudici al termine di un’udienza che si è tenuta in mattinata presso il quartier generale del ministero della Difesa a Tel Aviv. Elor Azaria, ventenne sergente dell’esercito, rischiava fino a 20 anni di prigione; tuttavia, il pubblico ministero aveva chiesto nelle scorse settimane una pena fra i tre e i cinque anni.
La vicenda del giovane militare che ha sparato a sangue freddo al 21enne palestinese Abdul Fatah al-Sharif durante un tentativo di assalto contro soldati israeliani a Hebron, in Cisgiordania continua a tenere banco nel Paese. La sentenza di condanna è giunta al termine di un processo iniziato a maggio e che ha diviso nel profondo opinione pubblica e società civile, con fazioni opposte di colpevolisti e innocentisti a far sentire la propria voce.
In concomitanza con l’udienza, decine di attivisti di estrema destra e sostenitori del militare si sono radunati all’esterno dell’edificio ministeriale, fra imponenti misure di sicurezza. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha confermato di essere pronto a sostenere una eventuale iniziativa di grazia per il 20enne sergente. Di contro, per il portavoce del governo palestinese Tareq Richmaoui la sentenza a una pena irrisoria rappresenta un “semaforo verde” ai “crimini dei soldati israeliani”.
Interpellata da AsiaNews Anat Ben Nun, direttrice delle relazioni esterne di Peace Now, Ong israeliana in prima linea contro l’occupazione, sottolinea che “la pena è relativamente bassa” rispetto alla condanna per omicidio. “Può darsi - aggiunge - che la decisione del giudice sia stata influenzata da una atmosfera politica tossica e dalle pressioni dei politici di destra”. Al momento non è dato sapere se questo verdetto “esacerberà ancor più gli animi” della popolazione palestinese, spiega l’attivista, ma se “si unisce questa vicenda ai recenti annunci di espansione degli insediamenti e alle demolizioni di case palestinesi, è chiaro che stiamo andando verso una situazione generale esplosiva”.
Il problema di fondo è la stagnazione dei contrasti alla base del conflitto israelo-palestinese e che “nell’ultimo decennio non sono cambiati di molto”. “Il numero dei coloni - conclude Anat Ben Nun - è cresciuto, tuttavia l’obiettivo di uno Stato palestinese contiguo e vitale è ancora possibile. Inoltre, la maggioranza delle opinioni pubbliche [di Israele e Palestina] sostengono ancora oggi la soluzione dei due Stati”.
La vicenda del sergente Elor Azaria risale al 24 marzo scorso e mostra la profonda spaccatura nel Paese, non solo fra colpevolisti e innocentisti, ma anche sulle politiche da adottare verso i palestinesi e in tema di sicurezza. Il militare ha sparato al giovane palestinese, che in precedenza aveva attaccato con un coltello altri soldati, ferendoli. L’assalitore era già steso a terra, in condizione di non poter più nuocere, anch’egli ferito. Ciononostante, il militare - intervenuto in un secondo momento - ha puntato il fucile e ha sparato, uccidendolo sul colpo. Dalle immagini catturate da un palestinese e diffuse dagli attivisti di B'Tselem si vede il soldato israeliano che spara in fronte al militante palestinese, steso a terra, senza che questi compia alcun gesto o provocazione. Poco prima dello sparo si sentono alcuni soldati esclamare, in ebraico, “il cane è ancora vivo”. Poi l’esplosione e il soldato che ha aperto il fuoco che grida: “Questo terrorista merita di morire”.
L’episodio si inserisce nel clima di violenze in corso dall’ottobre 2015 nella regione, innescate da una serie di provocazioni da parte di ebrei ultra-ortodossi, che hanno voluto pregare sulla Spianata delle moschee, luogo santo non solo per i palestinesi, ma per tutto l’islam. Da quel momento si sono moltiplicati incidenti e scontri in Israele e nei territori palestinesi, nel contesto della cosiddetta “intifada dei coltelli”.(DS)
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