25/04/2016, 08.49
ISLAM
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Islam e modernità: cresce il business dei cosmetici “halal”, un mercato da 20 miliardi

Prodotti di bellezza, creme, trucchi e rossetti privi di “ingredienti proibiti” spopolano fra le donne musulmane. Un volume di affari destinato a raddoppiare entro il 2019, ritagliandosi una fetta del 6%. Secondo il Global Islamic Economic il valore complessivo del mercato “halal” toccherà i 7mila miliardi. La Cina in prima fila nella produzione.

Beirut (AsiaNews) - Il divieto di consumo di carne suina e alcolici - insieme ai loro derivati - previsto dall’islam ha aperto la strada al commercio di prodotti “halal”, ovvero ammessi anche per i più stretti osservanti della religione musulmana. E non stiamo parlando solo di cibi e bevande, ma anche di prodotti di bellezza, profumi e trucchi che non abbiano fra le componenti “ingredienti proibiti”. Secondo alcuni studi, la crescente domanda di prodotti leciti ha fatto crescere il fatturato del “make up halal” per un valore complessivo di 20 miliardi di dollari. Ed è un’industria destinata ad aumentare i profitti nel futuro.

Nei giorni scorsi a Parigi, in Francia, si è tenuta una delle più importanti rassegne di prodotti per la bellezza, rivolta soprattutto alle donne. Fra le varie personalità presenti nei vari stand, vi era anche il leader musulmano Shaikh Ali Achcar impegnato a spiegare che trucco e regole dell’islam possono andare d’accordo.

“Se un prodotto derivato da animali non è ‘halal’ (lecito, in arabo) o contiene alcol - racconta l’esperto di legge musulmana - è da considerarsi impuro: per questo non puoi usarlo per il viso, o per la pelle”. Dal suo stand della Halal Certification Services (Hcs), con base in Svizzera, il leader musulmano racconta che oggi “cresce sempre più il bisogno [e la richiesta] di prodotti halal nel campo della cosmesi”. Fra i molti prodotti finora off-limits per le donne musulmani vi sono rossetti e profumi, molti dei quali contenenti grasso del maiale o sostanze alcoliche.

La messa al bando (direttiva del 2013) nell’Unione europea della sperimentazione animale per i prodotti di bellezza e la moda crescente di cosmetici vegani hanno portato alla diffusione sempre più ampia di creme, trucchi, rossetti “bio”. “Per i musulmani l’aggiunta della dicitura “halal” rappresenta poi una garanzia per l’acquisto”, aggiunge il leader islamico che tiene accanto a sé nello stand una copia del Corano.

Fino a qualche anno fa i prodotti di bellezza “leciti” per l’islam erano un settore di nicchia, di certo non appetibile per le grandi industrie del settore; vi erano piccole aziende, concentrate nei Paesi a maggioranza musulmana come la Malaysia, l’Indonesia e Singapore (nel Sud-est asiatico). Tuttavia, il volume di affari è cresciuto toccando i 20 miliardi nel 2014 ed è destinato a raddoppiare entro il 2019, ritagliandosi una fetta del 6% del mercato globale della cosmesi. 

Ora anche le più importanti realtà guardano con attenzione alla produzione “halal”, così come i governi delle nazioni a maggioranza musulmana che possono recuperare una discreta somma di denaro grazie alla certificazione delle merci. Basti pensare all’Indonesia, nazione musulmana più popolosa al mondo con 200 milioni di abitanti. Fonti legate alle industrie del settore confermano che “per molti, più che di religione qui si tratta di soldi”, anche se resta il problema di una certificazione “universale” che sia accettata da tutte le nazioni a maggioranza musulmana.

Oltre ai prodotti di cosmesi, vi sono anche altri settori che guardano con crescente attenzione al fenomeno, come i vini (sic) alcol-free di una recente esposizione a Kuala Lumpur, in Malaysia. Del resto già oggi la popolazione musulmana mondiale tocca il 27% del totale e dà origine a un mercato complessivo di oltre 2 trilioni di dollari, in crescita. Il Global Islamic Economic report per il 2015-16 stima un valore complessivo del mercato “halal” di 7mila miliardi entro il 2019. Fra i primi Paesi al mondo a fiutare l’affare la Cina, che ha già avviato la produzione di articoli ad hoc.

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