20/02/2020, 08.16
IRAN
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Iran, elezioni: per Khameni il voto è ‘dovere’ religioso, gli attivisti per l’astensionismo

La guida religiosa definisce la partecipazione alle urne una via “per rafforzare la nazione” nella “battaglia contro i nemici”. Opposizione e società civile, esclusa dalle candidature, invita al boicottaggio della tornata elettorale. Sullo sfondo i problemi irrisolti, dall’economia allo scontro gli Usa.

Teheran (AsiaNews) - Recarsi alle urne e votare alle prossime elezioni parlamentari, in programma il 21 febbraio, è un “dovere” imposto dalla “fede” e vale per tutta la popolazione. Usa la chiave della religione la guida suprema iraniana, il grande ayatollah Ali Khamenei, per spingere alle urne la popolazione, mentre da più parti, soprattutto fra i moderati e i riformisti, oltre al mondo dell’attivismo per diritti e libertà, si moltiplicano gli appelli al boicottaggio. 

“Oggi il voto - ha detto la massima carica della Repubblica islamica - non è solo una responsabilità rivoluzionaria e nazionale, ma è anche un dovere religioso”. Le elezioni, ha aggiunto, sono una via per rafforzare la nazione [...] un Parlamento debole avrà effetti di lungo termine [anche] nella battaglia contro i nostri nemici”. Il voto, ha concluso il leader religioso e politico della Repubblica islamica, “neutralizzerà le cattive intenzioni degli Stati Uniti [...] il voto è fonte di prestigio” per il Paese. 

In realtà la tornata elettorale appare già segnata, a causa dell’alto numero di candidature respinte (quasi 7mila) nel fronte moderato e riformista. Inoltre, essa non influenzerà le decisioni in tema di politica estera o sul nucleare, che sono appannaggio pressoché esclusivo di Khamenei. Tuttavia, se al Majlis saranno conservatori ed esponenti della linea dura a comandare ciò rappresenterà un elemento di ulteriore difficoltà per il presidente iraniano, il moderato Hassan Rouhani, oggetto di ulteriori pressioni da parte della cerchia della guida suprema. 

Relegati ai margini della sfida, gli oppositori della leadership religiosa e teocratica rilanciano così gli appelli al boicottaggio del voto, sottolineando che non hanno alcun elemento democratico e servono solo a rafforzare l’immagine del potere. Una bassa affluenza sembra così emergere quale (sola e ultima) arma da opporre ai vertici della Repubblica islamica, soprattutto negli ambienti conservatori che si attendono una vittoria che appare scontata. 

In un messaggio lanciato dalla propria cella, e pubblicato sulla pagina Facebook del marito, l’attivista per i diritti civili Narges Mohammadi afferma che il boicottaggio è il solo modo pacifico per esprimere il dissenso, visto che le manifestazioni non sono più autorizzate. “Dobbiamo sollevarci - sottolinea la donna, condannata a 10 anni per “aver fondato un gruppo illegale” - nel modo più civile possibile e lanciare una forte campagna di boicottaggio, per rispondere alle politiche repressive del governo”. 

Sullo sfondo restano i problemi irrisolti del Paese: lo scontro frontale con gli Stati Uniti, le difficoltà economiche e le recenti proteste represse con la forza, l’ultima delle quali innescata dalla tragedia aerea sopra i cieli di Teheran a inizio anno. I cittadini sembrano segnati da una serie di crisi che hanno ridotto, e di molto, le speranze di una vita migliore coltivata negli ultimi anni, soprattutto all’indomani dell’elezione alla presidenza di una figura moderata. “La mia speranza - sottolinea alla Reuters dietro anonimato un dottore di Teheran, la cui clinica fatica a trovare le medicine a causa delle sanzioni Usa - era che la situazione potesse migliorare quando ho votato in passato. Oggi sono state superate tutte le linee rosse” e la situazione è drammatica, tanto che “non nutro alcuna speranza e non andrò certo a votare”.

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