28/04/2021, 11.52
TURCHIA - ARMENIA
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Ira turca, paura degli armeni dopo il riconoscimento del ‘genocidio’ di Biden

Maggioranza e opposizione, sostenitori e rivali di Erdogan concordi nell’attaccare la scelta della Casa Bianca. La minoranza armena in Turchia sceglie il basso profilo, in un clima di “tensione”. Fonti di AsiaNews: tema “complesso e sensibile”, bisogna sottrarre la parole dall’uso “politico e strumentale” che ne viene fatto.

Istanbul (AsiaNews) - La decisione del presidente Usa Joe Biden di riconoscere come “genocidio” il massacro di circa 1,5 milioni di armeni ai tempi dell’Impero ottomano nel 1915 ha innescato inevitabili ripercussioni in Turchia. In una nazione divisa su (quasi) tutto, la negazione del termine è un elemento che unisce maggioranza e opposizione, sostenitori del presidente Recep Tayyip Erdogan e quanti lo osteggiano. Ecco perché la minoranza armena locale ha deciso di mantenere un basso profilo, temendo di diventare oggetto della collera dei turchi. 

Il ministero della Giustizia di Ankara ha risposto all’inquilino della Casa Bianca con una nota in cui afferma che non vi è alcun pronunciamento giuridico che qualifica come “genocidio” quello avvenuto nel 1915. “Tenendo conto della Convenzione sul genocidio, di cui il nostro Paese è parte, e della giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia che interpreta questo accordo - spiega - le dichiarazioni del presidente americano non hanno alcun significato giuridico. Affermazioni prive di fondamento, avanzate per motivi puramente politici [per] gettare sporcizia sulla gloriosa storia di una nazione che ha vissuto per secoli con rettitudine e stato di diritto”. 

Per Ankara il presidente Biden ha dato una nuova lettura della storia per compiacere le lobbies filo-armene ostili alla Turchia, che pur riconoscendo massacri e violenze nel quadro di una guerra civile in Anatolia nega con forza l’uso della parola “genocidio”. I turchi armeni preferiscono invece mantenere un basso profilo, come spiega un giovane intervistato da L’Orient-Le Jour (LOJ) il quale afferma che “la discrezione è parte del nostro modo di vivere”.

Il timore che è i 60mila membri della minoranza possano essere in qualche modo oggetto della vendetta popolare, nel caso in cui venga dato troppo risalto alla questione. “Fin da piccoli - prosegue - siamo allevati con l’idea di non dover parlare armeno per le strade. In Turchia vi sono divergenze su tutto, ma quando si tratta della questione armena sono tutti uniti”. Yetvart Danzikyan, direttore del settimanale turco-armeno Agos, parla di “clima di tensione” che si registra ogni anno alla vigilia del 24 aprile, giorno della commemorazione dei massacri del 1915. Una paura che è aumentata dopo l’assassinio dell’ex direttore e intellettuale Hrant Dink

Una fonte di AsiaNews in Turchia, che chiede l’anonimato per motivi di sicurezza, sottolinea che la questione del genocidio è un tema “complesso e sensibile”, usato anche “in chiave anti-turca”. “Sulla questione - prosegue - vi sono pareri di autorevoli storici in Turchia che non riconoscono un genocidio in quello che è avvenuto. Si tratta di un dibattito storico, che non va banalizzato, contro cui si frappone un aspetto emblematico e simbolico”. Il nodo centrale è l’idea di una “ingerenza” di una “questione interna alla nazione” e che finisce per “far scattare meccanismi di reazione per un tema trasversale, che non riguarda solo una parte”. 

“Bisognerebbe distinguere il dibattito scientifico, da approfondire nelle sedi opportune - spiega la fonte - dall’uso politico che viene fatto delle vicenda, perché nessuno nega la strage degli armeni. Si dovrebbe discutere delle questioni di fondo, più che sul termine in sé di genocidio, ma il punto centrale è se sia possibile parlarne in modo libero o meno in Turchia, oggi. Questa è la questione: si può discutere o meno, in modo libero, se vi sia stato un genocidio?”.

In questo quadro di profonde tensioni la Chiesa turca opera per stemperare i toni e cercare un punto di incontro: “Anche l’arcivescovo cattolico armeno Lévon Boghos Zékiyan sottolinea che è inutile impuntarsi attorno alla parola, perché divenuta solo una questione sterile. Non è facendo di questa parola una bandiera a favore o contro, che si arriva a un confronto costruttivo. Bisogna cercare di sottrarre la parola all’uso politico e strumentale che ne viene fatto”.

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