16/02/2018, 10.44
IRAN
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Intellettuali e attivisti iraniani promuovono un referendum contro la teocrazia

Dopo il presidente Rouhani, almeno 15 personalità nel Paese e all’estero chiedono una consultazione per definire il futuro istituzionale della Repubblica. Duro attacco alla leadership religiosa, che ha bloccato il Paese e negato la libertà ai cittadini. Superare “in modo pacifico” il regime islamico per instaurare un “sistema parlamentare su basi democratiche”. 

 

Teheran (AsiaNews) - Intellettuali, attivisti, accademici e personalità della società civile iraniana hanno sottoscritto in questi giorni un documento in si accusa il regime teocratico di aver fallito la realizzazione degli ideali repubblicani. Raccogliendo la proposta lanciata nei giorni scorsi dal presidente moderato Hassan Rouhani, i 15 firmatari chiedono inoltre di indire un referendum sotto la supervisione della comunità internazionale per “definire le caratteristiche” del futuro Stato. 

Secondo i proponenti, il quesito referendario dovrebbe permettere alla popolazione di esprimersi sull’establishment al potere e, in particolare, la leadership religiosa che detiene il potere ultimo nel Paese. Si tratta di stabilire se essa incontra ancora “il sostegno della maggioranza”. 

Fra i firmatari della proposta, sottoscritta da personalità che vivono in Iran e all’estero, vi sono l’avvocato e Nobel per la pace Shirin Ebadi, l’attivista pro diritti umani (oggi in prigione) Narges Mohammadi, il giurista Nasrin Sotoudeh. A questi si aggiungono anche due volti noti dello spettacolo: i registi Mohsen Makhmalbaf e Jafar Panahi.

Nella lettera gli attivisti ricordano che “sono trascorsi quattro decenni dalla nascita della Repubblica islamica, un governo la cui ossessione per l’islamizzazione ha lasciato ben poco spazio agli ideali repubblicani”. Da qui le feroci critiche a una magistratura controllata dall’ala conservatrice, che agisce in modo indipendente rispetto al governo [moderato, con timidi tentativi di riforme] guidato da Rouhani”. 

“La magistratura - proseguono i 15 intellettuali - è ridotta a un mero esecutore delle volontà politiche di quanti detengono le redini del comando. In questo modo moltissime donne, avvocati, giornalisti, insegnanti, studenti, lavoratori, attivisti sociali e politici sono stati malmenati, arrestati, accusati di crimini gravissimi e spediti in prigione, per il solo motivo di aver criticato personalità ufficiali, aver espresso la propria opinione, invitato la classe dirigente a rispettare la divisione fra religione e governo, o aver chiesto la cancellazione del velo obbligatorio per le donne”. 

Puntando il dito contro un “regime opprimente e irreparabile”, i promotori denunciano uno “stallo politico” che ha minato le possibilità di riforme e cambiamento, negando di fatto “la libertà agli iraniani”. Da qui l’idea di indire un referendum, che rappresenta la massima espressione di auto-determinazione concessa a un popolo. 

“Per superare la crisi - conclude la lettera - è necessario archiviare l’attuale regime islamico in modo pacifico. [La nazione] deve muoversi in direzione di un sistema parlamentare su basi democratiche, che garantisca la libertà di espressione e metta la parola fine alle discriminazioni contro le donne, sancendo il principio di eguaglianza” fra sessi, fra religioni ed etnie diverse. 

Nei giorni scorsi anche il presidente iraniano Hassan Rouhani aveva proposto, senza entrare nel dettaglio, di indire un referendum. Un tentativo di sanare le divisioni politiche nel Paese e il profondo distacco fra la leadership religiosa al potere e la maggioranza della popolazione, soprattutto i giovani che si dimostrano sempre più insofferenti ai dettami degli ayatollah. 

Del resto per l’Iran questo primo scorcio di 2018 si è rivelato piuttosto turbolento, con  manifestazioni di piazza in cui hanno perso la vita almeno 25 persone. Da giorni, il presidente iraniano preme sui conservatori perché le proteste e il malcontento nel Paese siano un motore di cambiamento; egli non ha specificato i quesiti referendari, ma è probabile un riferimento al dibattito sulle libertà sociali, acceso dalla protesta delle donne iraniane contro il velo obbligatorio.

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