24/05/2004, 00.00
asia - editoriale
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Il prezzo del petrolio aumenta perché cresce l'economia asiatica

di Maurizio d'Orlando

Il fabbisogno energetico della Cina è cresciuto del 41%; nel 2004 assorbirà metà del greggio irakeno.

Le quotazioni del greggio sono  di nuovo ai massimi storici. Il dato sembra difficile da spiegare: è vero che tempo fa i terroristi, con un attentato suicida hanno messo fuori uso il terminale petrolifero iracheno di Bassora. Ma se il loro obbiettivo era di strozzare le forniture di greggio al resto del mondo, sono stati sconfitti: dopo solo pochi giorni dall'attentato vi è stata una pronta ripresa delle esportazioni.

Per logica elementare ci sarebbe da attendersi un calo delle quotazioni. Per di più i maggiori esportatori, Arabia Saudita ed Iran in primo luogo, hanno subito comunicato che per sconfiggere i piani degli attentatori avrebbero aumentato la produzione. Inoltre nei prossimi giorni, il 3 giugno, si terrà la riunione plenaria degli stati membri dell'Opec ed in tale occasione è previsto che l'organizzazione dei paesi produttori di petrolio ufficializzi la decisione di aumentarne la produzione. A fronte di così tante notizie di ampia ed addirittura crescente disponibilità a breve le quotazioni del greggio sarebbero dovute crollare. Se invece rimangono a livelli record è evidente che ciò non è dovuto alle tensioni in Medio Oriente ma a qualche altro fattore in larga misura imprevisto. Da molte parti viene ormai riconosciuto che, come aveva già anticipato Asianews, tale fattore è l'esplosione della domanda di energia della Cina e di tutta l'Asia. L'ufficio studi di una grande banca britannica, la Barclay, ha stimato che nel primo trimestre la domanda cinese, contando anche l'economia sommersa, è cresciuta del 41 % su base annua, sei punti percentuali in più dei dati ufficiali precedentemente riportati da Asianews. Forse tale dato lascia esterefatti più gli esperti che non coloro che non si occupano di economia. D'altro canto è la crescita economica di tutta l'Asia a lasciare senza fiato. Dopo la Cina e l'India, con strepitosi dati di crescita, anche la Thailandia, la Corea del Sud, l'Indonesia e perfino il Giappone hanno messo a segno invidiabili incrementi del Prodotto Interno Lordo (PIL). Nel primo trimestre di quest'anno l'incremento del PIL giapponese è stato del 5,6 %. Si tratta di un dato di certo molto inferiore a quello cinese che ufficialmente è stato nello stesso periodo del 9,8 % Per il Giappone, che viene da un decennio di ininterrotta stagnazione, è però un risultato straordinario, anche se macchiato da una espansione senza precedenti dell'indebitamento pubblico. Il punto è dunque che la prima reale e compatta ripresa economica dell'Asia dopo il tracollo del 1998 si ripercuote immediatamente sul fabbisogno di energia ed in generale di tutte le materie prime. A livello di teoria economica vale la pena chiedersi quanto reali siano i tanto sbandierati progressi tecnologici di efficienza energetica, cioè la riduzione della quantità di energia per unità incrementale di prodotto interno lordo. Secondo l'Agenzia Internazionale dell'Energia, la IEA, nel 2004 la Cina consumerà 6,24 milioni di barili al giorno(b/g), 750 mila b/g in più del 2003, cioè quasi la metà dell'intero volume delle esportazioni irachene.

Dunque i prezzi del petrolio non salgono perché l'Iraq ed Al Qaida sono nei titoli di prima pagina di tutti i quotidiani del mondo. Se davvero le forniture dal golfo Persico dovessero essere interrotte o in serio pericolo, le quotazioni del greggio, secondo noi, toccherebbero i 60 - 90 dollari al barile.

I prezzi del petrolio salgono perché la crescita dell'Asia non è un fatto contingente ma strutturale e di lungo periodo. Prima che gli inglesi introducessero in Cina l'oppio, prodotto in Turchia ma soprattutto nelle piantagioni modello del Bengala indiano e trasportato dai veloci velieri americani, i famosi clippers, l'economia cinese era una delle maggiori al mondo. Nel 1820 il PIL cinese era il 20% di quello mondiale, oggi è il 4,8 %. Animata non tanto da un'ideologia comunista, in cui in realtà non crede, ma da un nazionalismo che fonde passato presente e futuro, la classe dirigente cinese tenta dunque di recuperare le posizioni detenute, trascinando così il resto dell'Asia. I consumatori di tutto il mondo devono rendersi conto che anche i cinesi vogliono la loro quota di materie prime.

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