20/06/2019, 14.19
MEDIO ORIENTE - USA
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Il piano (economico) di Trump ‘non risolverà il problema palestinese’

Per il professore e politico palestinese Bernard Sabella serve “una soluzione politica complessiva”, senza escludere una parte. Rabbino israeliano: non va “al cuore” del problema, i diritti umani e il riconoscimento dei bisogni dei palestinesi. Leader cattolico: in Israele tutta l’attenzione è “sulle elezioni”.  

Gerusalemme (AsiaNews) - Il piano di pace israelo-palestinese, l’accordo del secolo o un fiasco clamoroso a seconda dei punti di vista, suscita perplessità e interrogativi fra le cancellerie internazionali e in seno all’opinione pubblica. Un progetto dai contorni ancora poco chiari, che sembra però avere un forte connotato economico, più che diplomatico e politico.

In attesa di vedere quali saranno gli sviluppi della Conferenza di Manama in programma il 25 e 26 giugno nella capitele del Bahrain e gli eventuali passi futuri, AsiaNews ha raccolto alcuni commenti di personalità palestinesi, israeliane e cattoliche d Terra Santa. Ecco quanto ci hanno raccontato il professore e politico palestinese Bernard Sabella, del rabbino israeliano Jeremy Milgrom e dell’analista e commentatore cattolico Sobhy Makhoul.

Bernard Sabella, cattolico palestinese, rappresentante di Fatah per Gerusalemme e segretario esecutivo del servizio ai rifugiati palestinesi del Consiglio delle Chiese del Medio Oriente
Parlando della Conferenza di Manama, prima di tutto bisogna sottolineare l’assenza dei palestinesi. Il problema di fondo è che l’amministrazione Usa vuole separare le rivendicazioni politiche e storiche dei palestinesi dalle loro condizioni economiche e sociali. Questo non si può fare ed è una posizione difficile da far accettare alla leadership palestinese; gli americani sembrano avere il pieno controllo e intendono rafforzare l’alleanza strategica con Israele e i palestinesi si sentono chiusi in un angolo.
Sul piano personale ritengo che gli Stati Uniti non siano particolarmente interessati ai palestinesi, ma intendono solo portare avanti la loro idea di Medio oriente con l’aiuto di Israele. Tuttavia, di fronte a questo piano vi è la storia, il passato e il sentimento di una popolazione che avverte un clima di ingiustizia. Non si può rinunciare a una soluzione politica complessiva, facendo prevalere solo l’aspetto economico e questo è il pensiero di ogni palestinese, non dei suoi leader. E il mio timore è che lo sviluppo economico sbandierato dagli Usa sia solo a vantaggio dei capitalisti, di chi possiede già i soldi e non del popolo per questo vi è consenso sulla posizione di boicottaggio tenuta da Mahmoud Abbas. Impossibile barattare storia (colonie e insediamenti) e ideali per denaro. 

Jeremy Milgrom, rabbino israeliano e membro dell’Ong Rabbis for Human Rights, fra i fautori del dialogo interreligioso in Israele
La Conferenza di Manama e il piano elaborato dagli Stati Uniti hanno una marcata impronta economica, si guarda al denaro che forse può aiutare in un’ottica di investimenti, ma evita il vero cuore del problema: i diritti umani e il riconoscimento dei bisogni dei palestinesi. Investire denaro può essere utile, ma se quando si guarda alla storia palestinese non si può non notare che vi sono poche persone che fanno soldi e molti che soffrono. Qualcuno potrebbe anche essere felice per questo piano, ma esso non sarà di alcuna utilità per le masse. Credo che incontrerà un netto rifiuto e non sarà di aiuto in una seria prospettiva di pace. Vi sono ancora oggi troppe sofferenze, il quadro è troppo complesso per ridurlo all’ambito economico. Ciò detto, voglio sperare che da tutti possa venire qualcosa di buono, anche da un piano elaborato da Trump (e dal genero Kushner), sebbene sia sempre difficile credere a ciò che dice o a ciò che promette di fare. Per concludere, voglio restare aperto alla possibilità di passi positivi, ma in Israele non vi sono grandi aspettative e l’attenzione dei cittadini è concentrata sulle elezioni di settembre, sul malcelato disgusto per la politica e le ombre di corruzione che toccano Netanyahu e i vertici del Paese. 

Sobhy Makhoul, della Chiesa maronita di Gerusalemme e amministratore del Christian Media Center.
Trump pensa di risolvere tutti i problemi con il denaro. Ma se crede sia possibile dare soldi ai palestinesi in cambio del loro silenzio e della loro obbedienza, questo è un piano fallito in partenza. Vi è poi da considerare il fatto che hanno rimandato a più riprese la presentazione del progetto, in un primo momento ad aprile in seguito alle elezioni israeliane, poi in chiusura del Ramadan ma le fasi controverse che hanno portato alla crisi politica in Israele hanno portato a un nuovo rinvio. Adesso, con un governo provvisorio in vista del voto di settembre, è tutto più difficile e non si possono prendere grandi decisioni. A Manama può darsi che uscirà qualche indicazione soprattutto da un punto di vista economico, di idee ma il vero piano - qualunque esso sia - sarà diffuso in ogni suo aspetto a settembre dopo il voto israeliano. L’appuntamento di fine giugno è di carattere interlocutorio. Mi sembra inoltre di vedere che Trump stia un po’ giocando sia con i palestinesi, che con gli israeliani, un piano tutto suo che nemmeno alla Casa Bianca è delineato con chiarezza e definito in ogni sua parte. Il presidente Usa capisce poco di questioni ed equilibri nel Mediterraneo e Medio oriente e lo stesso vale per Kushner, che non è certo Henry Kissinger. Infine, l’opinione pubblica israeliana oggi è concentrata sulle elezioni, sulla politica interna e non si parla molto di Palestina, né di Iran.

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