28/04/2009, 00.00
INDIA
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Il governatore del Gujarat sotto inchiesta per il massacro di oltre mille musulmani

di Nirmala Carvalho
La Corte Suprema istituisce una commissione per verificare le responsabilità di Narendra Modi nelle violenze contro la minoranza islamica nel 2002. Polemica reazione del Bharatiya Janata Party che considera il governatore del Gujarat un candidato alla guida dell’India. Il governatore, figura di spicco del partito indù, accusa: “È una cospirazione del Congress per mandarmi dietro le sbarre”.
Mumbai (AsiaNews) - Una speciale commissione d’inchiesta per verificare le responsabilità di Narendra Modi (nella foto), governatore del Gujarat, nei massacri che hanno sconvolto lo Stato nel 2002, causando la morte di oltre mille persone, in gran parte musulmani.
 
La Corte suprema indiana ha reso noto il 27 aprile i nomi dei componenti della commissione che verrà guidata R.K. Raghavan, ex capo della Central Bureau of Investigation (CBI), coadiuvato dagli avvocati Arijit Pasayat e Asok Kumar Ganguly. Il loro compito è di appurare il coinvolgimento di Modi e di altre 50 persone, politici e funzionari governativi locali, negli scontri di sette anni fa.
 
Nel 2002 un conflitto di stampo etnico religioso ha causato nel Gujarat un numero imprecisato di morti - alcune fonti parlano di 2mila vittime - e 150mila sfollati. Le violenze erano scoppiate dopo la morte di 60 indù, durante l'attacco a un treno nella città di Godhra messo a segno da un presunto gruppo islamico.
 
Modi, leader del Bharatiya Janata Party (Bjp) e già allora governatore dello Stato, è accusato in particolare di essere coinvolto nell’omicidio di un parlamentare, ma per buona parte dell’opinione pubblica l’esponente di spicco del partito nazionalista indù dovrebbe rispondere anche dell’avallo tacito dato ai rivoltosi e dell’inerzia dell’autorità nell’aiutare le vittime dei massacri.
 
Il gesuita p. Cedrick Prakash, direttore di Prashant, centro che si occupa di diritti umani, giustizia e pace, interpreta la decisione della Corte Suprema come “un trionfo della giustizia” che pone fine ad un’attesa di sette anni. “È chiaro che una parte della popolazione del Gujarat vorrebbe che gli orrori del 2002 venissero dimenticati - afferma p. Prakash -, tuttavia l’unica strada per riportare la normalità è quella di affermare in modo definitivo la verità e la giustizia nella vicenda”.
 
Per il sacerdote gesuita, la coincidenza dell’istituzione della Commissione con i 60 anni della Costituzione dell’India è un segno di buon auspicio perché indica “che possiamo vivere con orgoglio in un Paese in cui il Satyameva Jayate [motto dell’India che significa ‘Solo la verità trionfa’, ndr] non solo parole che diciamo con la bocca”.
 
La decisione della Corte Suprema non ha mancato di suscitare polemiche tra i partiti alle prese con una tornata elettorale che deve decidere chi guiderà il Paese nei prossimi cinque anni.
 
Modi è una stella del Bjp e in molti, prima delle elezioni in corso, lo hanno indicato come alternativa induista al primo ministro Manmohan Singh, leader dell’India national congress al governo. Lo stesso Modi, ha commentato la notizia dell’istituzione della Commissione come “una cospirazione del Congress per mandarmi dietro le sbarre”.
 
Lenin Raghuvanshi, direttore del Comitato popolare per la vigilanza sui diritti umani, afferma ad AsiaNews che “la corrente intransigente del Bjp brandirà la decisione della Corte contro Modi”. Ma l’istituzione della Commissione “prova che il genocidio della minoranza musulmana avvenuto nel Gujarat ha nessi con il governo dello Stato”.
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