27/12/2018, 08.57
SIRIA-USA-RUSSIA
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Il futuro della Siria e dei cristiani, se le truppe Usa si ritirano

di Vladimir Rozanskij

La Russia potrebbe divenire la protettrice del Paese e dei cristiani. Ma intanto potenze internazionali - come Gran Bretagna e Francia - e regionali - come Turchia e Israele – rivendicano zone di influenze, aprendo nuovi fronti di scontro e di insicurezza per la sua popolazione e la Siria. Due giorni fa aerei israeliani hanno attaccato una base militare siriana a Qatifah, a circa 40 km a nord-est di Damasco.

Mosca (AsiaNews) – L’annuncio del presidente Usa Donald Trump sul ritiro delle truppe Usa dalla Siria, sembra dare un aiuto alla Russia per divenire la protettrice del Paese e dei cristiani in Medio oriente. Ma essa crea anche uno squilibrio che dà spazio alle potenze internazionali - come Gran Bretagna e Francia - e regionali - come la Turchia e Israele - per affermarsi e rivendicare zone di influenze, aprendo nuovi fronti di scontro e di insicurezza per il Paese e la sua popolazione. Due giorni fa aerei israeliani hanno attaccato una base militare siriana a Qatifah, a circa 40 km a nord-est di Damasco (v. foto). Alle accuse del governo siriano e alle critiche di Mosca, Tel Aviv ha risposto col silenzio. Solo ieri sera in modo anonimo, un ufficiale della sicurezza israeliana ha confermato i raid, dicendo che essi avevano come obbiettivo alcuni depositi di armi iraniane destinate ad Hezbollah. Ieri la Russia ha criticato i bombardamenti aerei, dicendo che essi hanno messo a rischio alcuni voli civili. Mosca non ha precisato quali voli, ma ha detto che uno di essi stava per atterrare in emergenza a Beirut e un altro a Damasco.

 

La situazione della Siria si delinea di nuovo incerta e gonfia di preoccupazioni. L’annuncio del presidente Usa Donald Trump sulla “vittoria definitiva” nei confronti dell’Isis, e il ritiro delle truppe americane, rende il Natale di quest’anno un momento in cui chiedersi se è davvero il caso di celebrare il trionfo, o invece prepararsi a nuovi tormenti.

Le celebrazioni dei cristiani sono piuttosto variegate e scaglionate; in Siria vive poco più di un milione e mezzo di cristiani (quasi il 10% della popolazione complessiva), che appartengono a diversi riti e tradizioni. La terra siriana conserva la memoria del cristianesimo primitivo, essendo il teatro della prima grande missione apostolica, quella di san Paolo e dello stesso san Pietro. L’antica capitale Antiochia avrebbe potuto competere con Roma, come sede primaziale della Chiesa universale, dopo la distruzione di Gerusalemme ad opera dei romani alla fine del I secolo. La tradizione dei “padri siriaci” costituisce il vero Oriente cristiano antico, laddove greci e latini erano le due varianti “occidentali”. È la cultura più vicina alle origini semitiche di Gesù e degli apostoli, oggi testimoniata da cattolici e ortodossi, ma anche e soprattutto dai riti più orientali dei caldei, giacobiti, armeni e altri.

Tra le tante vittime della guerra di questi ultimi anni tra il sedicente “Stato Islamico” e le varie potenze avversarie (Stati Uniti, Francia, Turchia, Russia), i cristiani sono tra quelli che hanno maggiormente sofferto, finendo tra l’incudine degli estremisti e il martello dei governativi. La loro presenza nella regione è fortemente a rischio, tanto da aver spinto il patriarca ortodosso di Mosca Kirill ad accettare lo storico incontro con papa Francesco all’Avana, nel febbraio 2016, proprio per unire le forze in difesa dei cristiani di Siria e Iraq. La scomparsa del cristianesimo in Siria, oltre al martirio di tanti, costituirebbe infatti una perdita irreparabile per tutto il mondo cristiano.

Non solo i cristiani sono preoccupati dalla partenza delle migliaia di soldati delle forze speciali Usa, con i tanti corpi di artiglieria e controllo del territorio. Rimangono da soli soprattutto i principali alleati degli americani, i curdi siriani, che temono l’invasione dei turchi, loro avversari storici. La decisione di Trump, del resto, non è accompagnata dalla pacificazione della regione, dove rimangono sacche di terroristi guidati dall’imprendibile leader Al-Baghdadi.

Gli americani, insieme ai loro alleati, controllano al momento poco più di un quarto del territorio siriano, strappato all’Isis negli ultimi anni, dividendolo dal resto del Paese per tacito accordo con la Russia, l’altra potenza presente nel in Siria. Un accordo, del resto, piuttosto precario: non di rado si sono verificati isolati conflitti tra la parte “americana” e quella “russa”, anche con episodi di scontro armato. La Russia insieme al governo siriano, da essa sostenuto, ha chiesto più volte il ritiro delle truppe americane dal Paese, visto che “nessuno li ha invitati”. Gli americani hanno sempre risposto di agire in base al principio di autodifesa, nella guerra contro il terrorismo islamico, annientando chiunque tentasse di entrare nel territorio da essi controllato.

La decisione di Trump sembra quindi una cessione totale del controllo alla Russia, proprio mentre gli alleati curdi stanno tentando l’ultimo assalto alla roccaforte dell’Isis, tra il fiume Eufrate e il confine iraniano, dove si nasconderebbe lo stesso Abu Bakr Al-Baghdadi. Trump avrebbe riconosciuto l’incapacità degli americani a finire questo lavoro, lasciandolo in mano ai russi e ai siriani. Al nord premono i turchi, desiderosi di assumere il controllo sulle terre dei curdi.

Gli alleati occidentali, europei e Israele, hanno subito protestato contro la “fuga” annunciata da Trump, mentre i rappresentanti dei curdi hanno parlato di “coltellata alla schiena”. Solo il presidente turco Erdogan ha lodato la decisione americana, presa subito dopo una telefonata tra Trump e lo stesso Erdogan. Inglesi e francesi hanno annunciato che rimarranno sul territorio fino alla definitiva sconfitta dell’Isis, ma i loro contingenti sono troppo limitati per sperare di poter dominare la situazione, anche se dovesse rimanere almeno il supporto dell’aviazione americana.

L’unica possibilità di evitare un’invasione turca nel Kurdistan, in realtà, sarebbe l’estensione del protettorato russo all’intero territorio siriano, che costituisce da sempre lo scopo di Putin. Ciò sancirebbe la centralità della Russia come superpotenza decisiva per gli equilibri mondiali, tornando ai fasti dei tempi sovietici. Per gli equilibri internazionali questo potrebbe rivelarsi un grosso problema, ma i cristiani di Siria ne sarebbero certamente grati, riconoscendo volentieri alla Russia il titolo di “prima potenza cristiana” del mondo, sospeso tra Oriente e Occidente.

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