Il Papa per sei nuovi santi, due dall'India: Hanno servito il regno di Dio e ne sono diventati eredi
Città del Vaticano (AsiaNews) - Almeno 70mila persone hanno partecipato stamane alla canonizzazione di sei beati, officiata da papa Francesco. Fra essi vi sono quattro italiani - Giovanni Antonio Farina (1803-1888); Ludovico da Casoria (1814-1885); Nicola da Longobardi (1650-1709); Amato Ronconi (ca 1226-ca 1292) - e due indiani: Eufrasia Eluvathingal del Sacro Cuore (1877-1952) e Kuriakose Elias Chavara della Sacra Famiglia (1805-1871).
Quest'ultimo nacque in Kerala, il 10 febbraio 1805. Fu ordinato sacerdote nel 1829 e due anni dopo già pose le fondamenta della prima casa della congregazione dei Carmelitani di Maria Immacolata, di cui fu primo priore generale, e successivamente collaborò anche alla fondazione della Congregazione delle Suore della Madre del Carmelo. Dal 1861 ricoprì la carica di vicario generale della Chiesa siro-malabarica, per la quale sostenne un profondo rinnovamento spirituale. Morì nel 1871. Fu beatificato nel 1986.
Per la celebrazione in piazza san Pietro sono presenti almeno 20mila indiani, in maggioranza del rito siro-malabarico, a cui appartenevano i due nuovi santi. Fra i celebranti si notano mantelli bianchi e azzurri, rossi con ricami d'oro ed elaborati copricapi. Fra la gente sono molte le bandiere dell'India, sventolate soprattutto dopo la proclamazione dei nuovi santi.
Nell'omelia che è seguita, papa Francesco prende spunto dalla solennità di oggi, Cristo Re dell'universo e dice che i nuovi santi "proprio mediante le opere di una generosa dedizione a Dio e ai fratelli, hanno servito, ognuno nel proprio ambito, il regno di Dio e ne sono diventati eredi. Ciascuno di essi ha risposto con straordinaria creatività al comandamento dell'amore di Dio e del prossimo. Si sono dedicati senza risparmio al servizio degli ultimi, assistendo indigenti, ammalati, anziani, pellegrini. La loro predilezione per i piccoli e i poveri era il riflesso e la misura dell'amore incondizionato a Dio. Infatti, hanno cercato e scoperto la carità nella relazione forte e personale con Dio, dalla quale si sprigiona il vero amore per il prossimo. Perciò, nell'ora del giudizio, hanno udito questo dolce invito: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo» (Mt 25,34)".
"La salvezza - ribadisce - non comincia dalla confessione della regalità di Cristo, ma dall'imitazione delle opere di misericordia mediante le quali Lui ha realizzato il Regno. Chi le compie dimostra di avere accolto la regalità di Gesù, perché ha fatto spazio nel suo cuore alla carità di Dio. Alla sera della vita saremo giudicati sull'amore, sulla prossimità e sulla tenerezza verso i fratelli. Da questo dipenderà il nostro ingresso o meno nel regno di Dio, la nostra collocazione dall'una o dall'altra parte".
"Gesù, con la sua vittoria, ci ha aperto il suo regno, ma sta a ciascuno di noi entrarvi, già a partire da questa vita. E se veramente ameremo quel fratello o quella sorella, saremo spinti a condividere con lui o con lei ciò che abbiamo di più prezioso, cioè Gesù stesso e il suo Vangelo!".
Del resto, la regalità di Gesù Cristo è diversa da quella del mondo: Gesù - spiega il pontefice - ha realizzato il regno... con la vicinanza e la tenerezza verso di noi. Egli è il Pastore, di cui ci ha parlato il profeta Ezechiele nella prima Lettura (cfr 34,11-12.15-17). Tutto questo brano è intessuto di verbi che indicano la premura e l'amore del Pastore verso il suo gregge: cercare, passare in rassegna, radunare dalla dispersione, condurre al pascolo, far riposare, cercare la pecora perduta, ricondurre quella smarrita, fasciare la ferita, curare la malata, avere cura, pascere. Tutti questi atteggiamenti sono diventati realtà in Gesù Cristo: Lui è davvero il "Pastore grande delle pecore e custode delle nostre anime" (cfr Eb 13,20; 1Pt 2,25).
E quanti nella Chiesa siamo chiamati ad essere pastori, non possiamo discostarci da questo modello, se non vogliamo diventare dei mercenari. A questo riguardo, il popolo di Dio possiede un fiuto infallibile nel riconoscere i buoni pastori e distinguerli dai mercenari".
"Gesù - riprende - non è un re alla maniera di questo mondo: per Lui regnare non è comandare, ma obbedire al Padre, consegnarsi a Lui, perché si compia il suo disegno d'amore e di salvezza. Così c'è piena reciprocità tra il Padre e il Figlio. Dunque il tempo del regno di Cristo è il lungo tempo della sottomissione di tutto al Figlio e della consegna di tutto al Padre".
"Con il rito di canonizzazione - ha concluso - ancora una volta abbiamo confessato il mistero del regno di Dio e onorato Cristo Re, Pastore pieno d'amore per il suo gregge. Che i nuovi Santi, col loro esempio e la loro intercessione, facciano crescere in noi la gioia di camminare nella via del Vangelo, la decisione di assumerlo come la bussola della nostra vita. Seguiamo le loro orme, imitiamo la loro fede e la loro carità, perché anche la nostra speranza si rivesta di immortalità. Non lasciamoci distrarre da altri interessi terreni e passeggeri. E ci guidi nel cammino verso il regno dei Cieli la Madre, Maria, Regina di tutti i Santi".
Prima della conclusione della messa, papa Francesco ha voluto ringraziare le delegazioni ufficiali dall'Italia e dall'India, presenti nella celebrazione e ha aggiunto: "L'esempio dei quattro Santi italiani, nati nelle Provincie di Vicenza, Napoli, Cosenza e Rimini, aiuti il caro popolo italiano a ravvivare lo spirito di collaborazione e di concordia per il bene comune e a guardare con speranza al futuro, confidando nella vicinanza di Dio che mai abbandona, anche nei momenti difficili".
Riferendosi poi agli indiani presenti, ha detto: "Per l'intercessione dei due Santi indiani, provenienti dal Kerala, grande terra di fede e di vocazioni sacerdotali, il Signore conceda un nuovo impulso missionario alla Chiesa che è in India, affinché ispirandosi al loro esempio di concordia e di riconciliazione, i cristiani dell'India proseguano nel cammino della solidarietà e della convivenza fraterna".