I filippini sfidano la devastazione del tifone con la fede e la carità
Manila (AsiaNews) - La devastazione del tifone Haiyan non ferma la speranza della popolazione filippina che in questi giorni si è mobilitata per raccogliere aiuti ed organizzare veglie di preghiera per le vittime. P. Giovanni Re, superiore regionale del Pontificio istituto missioni estere (Pime), racconta ad AsiaNews che, in parallelo agli aiuti umanitari ed economici, la gente ha iniziato a sostenere anzitutto con la preghiera le vittime del tifone. "Lo scorso 15 novembre a Manila - afferma il sacerdote - i giovani di diverse parrocchie hanno dedicato una veglia per pregare insieme alle vittime ed manifestare spiritualmente la loro vicinanza". P. Re sottolinea che molte persone hanno parenti e amici residenti nell'arcipelago delle Visayas dove si è abbattuto il tifone: "Nelle provincie di Leyte e di Cebu la religione cattolica è ancora il centro della vita delle comunità ed è proprio in momenti drammatici come quello che stiamo vivendo che la popolazione cerca conforto nella fede".
Da ieri nelle parrocchie colpite dalla tragedia, costata finora la vita a 3.900 persone, fedeli e sacerdoti hanno ricominciato a celebrare la messa domenicale. A Guiuan, la prima città ad essere colpita dal tifone, circa 300 persone hanno partecipato alla funzione fra le rovine della chiesa dell'Immacolata Concezione. Intervistato dall'Afp, p. Arturo Cablao, parroco a Guiuan elogia lo spirito e la forza dei suoi parrocchiani. "Alcuni di loro - racconta - hanno assistito alla messa in silenzio, molti erano in lacrime inginocchiati in mezzo alle rovine della loro chiesa". Bibeth Subulao, parrocchiana di Guinan dichiara che "se non c'è un Dio, che altro c'è ? Egli è la nostra unica speranza ".
A Tacloban, una delle aree più danneggiate centinaia di devoti hanno celebrato l'eucarestia in mezzo alle macerie della chiesa del Santo Niño, pregando seduti su banchi ancora intrisi dall'acqua portata dal tifone. P. Edwin Bacaltos, parroco della chiesa redentorista di Tacloban spiega che molti fedeli lo hanno interpellato sulle ragioni di questa catastrofe: "Non ho fornito loro alcuna interpretazione teologica. Ho ascoltato e sono rimasto in silenzio. Questo non è il momento di fermarsi a pensare". Il sacerdote sottolinea che anche lui ha lottato con se stesso per dare una spiegazione alla devastazione e alla perdita di vite umane, "ma questa - afferma - non è una punizione divina. Ai miei fedeli ho detto che Dio ci ama ancora e non ci abbandonerà".
Il tifone più potente nella storia delle Filippine, non ha portato solo devastazione, ma anche gesti di solidarietà da parte dei Paesi vicini come Cina, Malaysia, Indonesia che in questi anni hanno avuto attriti riguardanti questioni territoriali e sostegno a movimenti separatisti filippini. Kuala Lumpur, a tutt'oggi sede dei movimenti separatisti islamici di Mindanao (Filippine meridionali), ha inviato nei giorni scorsi beni per oltre un milione di dollari e ha mobilitato parte dell'aviazione militare per collaborare alle operazioni di soccorso. Su esempio della Malaysia anche l'Indonesia ha organizzato raccolte di aiuti e inviato due elicotteri della marina militare a Tacloban. La Cina da anni in conflitto con le Filippine per le isole Spratly (Mar cinese meridionale), ha destinato circa 1,6 milioni di dollari per l'acquisto di aiuti umanitari. Tuttavia per alcuni analisti la cifra è molto misera rispetto ai 30 milioni di dollari donati al Giappone dopo lo tsunami del 2011.
Tokyo ha invece ricambiato con 30 milioni di dollari, un equipe di 26 medici specializzati nelle operazioni legate a disastri naturali e 1200 soldati la grande solidarietà mostrata dal popolo filippino in occasione dello tsunami del marzo 2011. Joji Tomioka, responsabile del team di medici, afferma: "Nel momento del bisogno le Filippine ci hanno aiutati. Ora è giunto il nostro turno". (S.C.)