Hong Kong, la “confessione televisiva” dell’editore sparito Lee Bo
Per la prima volta dalla sua scomparsa, il fondatore della Causeway Bay Bookshop appare sulla Phoenix Tv (vicina al governo di Pechino). Sarebbe andato nella Cina continentale “di sua spontanea volontà” per cooperare ad una “inchiesta”. Altri tre membri dello staff della casa editrice hanno già “confessato”. La pratica è divenuta comune per diffamare i dissidenti.
Hong Kong (AsiaNews) – Per la prima volta dalla sua scomparsa, il direttore della Causeway Bay Bookshop di Hong Kong è apparso sulla Phoenix Tv, canale televisivo vicino al governo di Pechino. Egli ha dichiarato di essere andato nella Cina continentale di sua spontanea volontà e ha negato di essere stato rapito o “fatto sparire”. Ha aggiunto che “potrebbe rientrare” nel Territorio alla fine dell’inchiesta in corso.
Lee ha ammesso di essere entrato in Cina senza documenti di viaggio, e di aver quindi violato le procedure doganali “con l’aiuto di un amico”, ma ha aggiunto che “non è conveniente svelare i dettagli”. Quando gli è stato chiesto il perché di questo comportamento, ha spiegato di “essere preoccupato. Se fosse stato reso noto che ero andato in Cina per aiutare un’indagine, le persone coinvolte avrebbero potuto compiere ritorsioni contro di me e la mia famiglia”.
L’inchiesta in oggetto sarebbe rivolta alla sua stessa compagnia e al suo staff. Lee si è presentato come testimone volontario. Nell’intervista ha negato di essersi recato in Cina per motivi legati alla prostituzione o ai libri da lui stampati, utilizzabili per ricattare qualcuno, e ha aggiunto che si riserva il diritto di fare causa nei confronti di chi dice il contrario.
L’editore ha aggiunto che il suo caso è stato “montato ad arte da alcune organizzazioni” e ha aggiunto di essere sempre stato “cinese e cittadino di Hong Kong. Non ho mai vissuto in Gran Bretagna e non ho i diritti connessi alla cittadinanza britannica”. Egli ha subito dopo aggiunto che intende rinunciare a questo passaporto e di averlo “già comunicato” alle autorità di Londra.
Il ministero inglese degli Esteri ha risposto alla rinuncia di cittadinanza: il portavoce ha chiarito che “speravano di incontrare Lee Bo”, ma che questo è stato impedito dal governo cinese: “Non abbiamo avuto accesso all’uomo per offrire i nostri servizi consolari e non abbiamo avuto il permesso di discutere di questa questione con Lee Bo”.
La Phoenix Tv ha mostrato anche alcune foto dell’editore insieme a sua moglie. Egli ha commentato le immagini dicendo di essere “al sicuro e libero” in Cina, e ha aggiunto di aver passato la Festa di primavera [il Capodanno cinese] insieme alla sua sposa: “Siamo felici”. Inoltre, Lee ha dichiarato che la polizia “è amichevole” con la coppia.
Anche Gui Minhai, fondatore della Mighty Current (casa editrice associata alla Causeway Bay Bookshop) è scomparso in Thailandia lo scorso ottobre 2015. Ma è riapparso per confessare sulla televisione di Stato cinese, la CCTV, e dichiarare di essersi consegnato in maniera spontanea alle autorità cinesi per un caso avvenuto anni fa: un incidente automobilistico in cui avrebbe colpito una studentessa mentre guidava ubriaco.
Secondo un servizio trasmesso sempre dalla Phoenix Tv, ora Gui è sotto accusa per “attività commerciali illegali”. Nello specifico, la sua libreria avrebbe alterato le copertine dei libri per evitare la censura e inviare così materiale illegale a clienti della Cina continentale. Tre membri dello staff della libreria hanno accusato Gui, sempre in televisione, di aver “creato pettegolezzi” in questi libri per aumentare le vendite. Il servizio spiega che i tre dipendenti dovrebbero essere rilasciati presto e rimandati a Hong Kong “grazie alla loro spontanea confessione”.
Anche Lee Bo ha accusato Gui nella sua intervista. Ha dichiarato che la creazione della Mighty Current è stata incoraggiata dall’ex socio, che definisce “un uomo senza morale”, che ha fabbricato e plagiato i contenuti dei libri. Proprio perché “voleva esprimere pentimento e scuse nei confronti delle vittime”, Lee ha deciso di cooperare con l’inchiesta.
Confessare in televisione è divenuta la routine del governo nei confronti dei dissidenti. Nel gennaio 2016, l’attivista svedese Peter Dahlin ha confessato di “aver incitato a opporsi al governo” prima di essere deportato. All’inizio di febbraio, l’avvocato Zhang Kai – che difende le croci del Zhejiang dalla demolizione – ha dichiarato sempre in tv di aver voluto “ottenere fama e denaro” sfruttando la questione.
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