Guerre dei dazi: è la fine del dollaro e la nascita di una moneta unica mondiale
L’effetto boomerang dello slogan “America great again” di Donald Trump. La sua politica porterà al crollo dei cespiti finanziari e degli immobili. I Paesi emergenti in difficoltà.
Milano (AsiaNews) - La gran parte dei commentatori economici mondiali sta fornendo all’opinione pubblica una versione profondamente errata degli effetti delle “guerre commerciali” in atto e scatenate dalle sanzioni commerciali alla Russia ed all’Iran e da ultimo dalle politiche tariffarie di Trump nei confronti della Cina e dell’Europa (di fatto contro l’industria automobilistica tedesca).
La gran parte di questi commentatori, ne sono convinto, sbagliano in perfetta buona fede. Sono, infatti, giornalisti che mai hanno studiato economia (economia politica, non economia aziendale –management – che è tutt’altra cosa – e nemmeno finanza, che pure è altra cosa).
Pochi ne capiscono davvero qualcosa.
L’effetto netto delle politiche economiche di Trump non è quello di riequilibrare gli sbilanci commerciali tra le diverse aree economiche del mondo. Il deficit del commercio estero statunitense è ai massimi da 10 anni ed è più che ovvio che l’economia americana sia in una fase di grande euforia, con crescita e forte riduzione della disoccupazione. Con tali premesse ci mancherebbe altro!
Chi loda Trump per questi successi, però, sbaglia di grosso. A questa fase apollinea ne seguirà una dionisiaca e distruttiva, nel più classico degli scontatissimi schemi hegeliani: tesi, antitesi, sintesi. La fine del QE [Quantitative Easing] è imminente, anche perché il denaro facile non può durare all’infinito. In questo sbagliano di grosso i cosiddetti sovranisti, tipo alcuni degli economisti nostrani – di fatto keynesiani e “di sinistra” senza saperlo, con il loro accentuare lo statalismo nell’economia: la spesa pubblica in deficit prima o poi si paga.
Mi preme invece segnalare l’articolo di Brandon Smith in Alt-Market.com che riporto qui di seguito, perché dirama molta nebbia propalata ad arte.
La fine della QE, in tutto il mondo, comporta in primo luogo il crollo dei cespiti finanziari e di tutti i cosiddetti assets patrimoniali, azioni ed obbligazioni in primo luogo ma anche, seppure probabilmente in forma minore, gli immobili. Se ne dovrebbero avvantaggiare le materie prime, ma la caduta della produzione industriale, conseguente alla fine del QE all’infinito, induce a pensare che forse anche alcune materie prime industriali, come i metalli non ferrosi, non se la passeranno bene. Solo i beni rifugio, come i metalli preziosi, avranno una buona domanda ed aumenti delle quotazioni. Soprattutto però l’effetto combinato delle guerre tariffarie e di sanzioni varie comporterà delle difficoltà per i Paesi emergenti e la fuga di questi ultimi dal dollaro.
La conseguenza sarà lo sviluppo di sistemi di pagamento alternativi al dollaro negli scambi commerciali mondiali. Sarà la fine del ruolo del dollaro come moneta di riserva mondiale.
In tal modo ci sarebbe la fine del sistema che ha dominato gli ultimi decenni, anzi gli ultimi 70 anni, da Bretton Woods ad oggi.
Questo dunque è il paradosso: Trump, che vuole fare l’America di nuovo grande finirà per affossare il sistema finanziario basato sul dollaro.
Non so se Trump ne sia consapevole. Certo alla Fed lo sono, perché lì ci sono persone che di economia se ne intendono davvero. Sono però tutti keynesiani e perciò il loro scopo ultimo è la moneta unica mondiale, i Diritti Speciali di Prelievo, SDR in inglese. È infatti quello che auspicava Keynes, intellettuale progressista, libertino “laico”.
La moneta unica mondiale comporterà una forma di “governance” mondiale. A questo ci dobbiamo preparare perché questo governo mondiale sarà “laico”, progressista, libertino, senza confini nazionali, tollerante di ogni deviazione ma del tutto intollerante nei confronti di ogni vera opposizione.