10/04/2006, 00.00
Tibet – cina
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Governo tibetano: "Per rispetto al Dalai Lama, non protestate contro Hu Jintao"

Il governo in esilio chiede "a tutti i tibetani ed a tutti i sostenitori della causa tibetana" di "non protestare durante la visita del presidente cinese negli Stati Uniti".

Dharamshala (AsiaNews) - Samdhong Rinpoche, primo ministro del governo tibetano in esilio, ha chiesto ai gruppi di sostegno del Tibet negli Stati Uniti ed in Canada "di non protestare durante la visita di Hu Jintao in America".

"Ogni manifestazione pubblica contro il presidente cinese – ha scritto il politico in una lettera aperta – potrebbe non solo mettere a rischio i dialoghi in corso fra noi e Pechino, ma sarebbe anche causa di grave imbarazzo per il Dalai Lama, che sarà negli Stati Uniti nello stesso periodo".

Lo stesso appello era stato lanciato lo scorso anno, in occasione della visita di Hu in Europa, ma "non aveva avuto risposta". "Questa volta – sottolinea il premier – ogni protesta vorrà dire che i gruppi esteri di sostegno del Tibet non cooperano con il governo in esilio e non danno peso alle richieste del Dalai Lama, che ha spiegato le ragioni della nostra richiesta e le ha appoggiate".

Il riferimento è al testo del messaggio che il Dalai Lama ha pubblicato il 10 marzo, in occasione del 47esimo anniversario della Giornata della sollevazione tibetana. "Non dobbiamo lasciare nulla di incompiuto – ha scritto il capo dei monaci buddisti – nel processo di risoluzione dei problemi sino-tibetani. Chiedo a tutti i tibetani ed ai loro sostenitori di prendere nota di ciò che ha chiesto il governo in esilio lo scorso anno e fare in modo che ciò avvenga".

Dopo le proteste internazionali del 2005, i dialoghi fra Pechino e Dharamshala erano stati rinviati di tre mesi per "decisione unilaterale" della Cina. "Questo non si deve ripetere – conclude Rimpoche – perché siamo in una fase critica e forse decisiva della trattativa".

Il governo in esilio del Tibet ha sede a Dharamsala, in India, ed è stato formato dal Dalai Lama nel 1959, nove anni dopo l'invasione del suo Paese da parte delle truppe comuniste. Anche se Pechino lo considera un traditore, moltissimi tibetani rimangono fedeli alla sua figura, considerata un misto fra un re ed un dio.

Nel corso degli anni, le richieste del leader religioso sono diminuite in maniera costante: dalla "totale indipendenza" è passato a chiedere una "autonomia formale" fino alla "libertà religiosa nella regione". In risposta, Pechino lo ha sempre accusato "di voler promuovere il movimento indipendentista della regione" e gli ha imposto, se "vuole veramente un dialogo costruttivo" di "non portare a livello internazionale la discussione sul Tibet".

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