Giovane studente ‘blasfemo’: il killer condannato a morte; altri 30 al carcere
La sentenza emessa oggi dal Tribunale dell’antiterrorismo di Haripur. Al processo 57 aggressori. La legge sulla blasfemia “utilizzata per redimere questioni personali”. “Il verdetto è solo il primo passo”.
Abbottabad (AsiaNews) – Oggi il Tribunale antiterrorismo di Haripur, nella provincia pakistana di Khyber Pakhtunkhwa, ha emesso la sentenza contro gli assassini di Mashal Khan, lo studente pakistano linciato a morte per presunta blasfemia su Facebook. Ad AsiaNews cattolici e attivisti sostengono che “giustizia è stata fatta solo a metà perché molti sono stati scagionati”. Fino a quando continueranno ad essere in vigore le leggi sulla blasfemia, è la loro opinione, “esse saranno utilizzate per giustificare scopi personali, vendette individuali o politiche”.
Le condanne riguardano 57 persone in totale – arrestate subito dopo l’omicidio avvenuto lo scorso aprile – su un totale di 61 accusati. Si tratta di Imran Ali, killer reo-confesso di aver esploso il colpo mortale, condannato a morte; altri cinque aggressori dovranno scontare 25 anni di prigione; 25 accusati sono stati condannati a tre anni di reclusione; 26 persone sono state prosciolte dalle accuse.
Il brutale omicidio del giovane 23enne ha provocato profondo sdegno. Le immagini del suo violento pestaggio e delle barbare torture inflitte sul suo corpo già esanime da un centinaio di colleghi sono dilagate rapidamente sui social media. Egli studiava comunicazione di massa alla Abdul Wali Khan University di Mardan. Sul muro della sua stanza del college, numerose scritte a sostegno della libertà d’espressione. Lo scorso giugno un’inchiesta voluta dalla Corte suprema ha stabilito che Khan non ha mai pronunciato offese contro il profeta Maometto. Il rapporto evidenzia che la sua morte è stata il risultato di una cospirazione “orchestrata da membri della facoltà e da studenti rivali” e che essi volevano punirlo per aver osato denunciare la corruzione dilagante.
Secondo Samson Salamat, presidente del Rwadari Tehreek [Movimento per la tolleranza, ndr], “il verdetto è solo il primo passo, dovremo vedere come evolverà il caso davanti ai giudici supremi”. L’attivista lamenta che “nonostante le immagini del video del linciaggio mostrino in modo chiaro che almeno un centinaio di studenti erano coinvolti, la maggior parte di essi sono stati scagionati, mentre tanti colpevoli appartenenti al partito di governo non sono stati neanche arrestati. Questo è un caso che pone davanti al Parlamento la delicata questione dell’abolizione delle leggi sulla blasfemia. Esse sono abusate per perseguitare le minoranze, come la coppia cristiana bruciata viva nel forno di un mattonificio, l’incidente di a Shantinagar nel 1997 e il rogo dell’insediamento cristiano Joseph Colony nel 2013”.
Ata-ur-Rehman Saman, coordinatore della Commissione nazionale Giustizia e Pace, aggiunge: “La sentenza arriva in un momento in cui la società pakistana è già deteriorata. Di certo scoraggerà coloro che vogliono prendere la giustizia nelle proprie mani. Purtroppo vari incidenti rimangono ancora impuniti, come quelli accaduti a Sangla Hill nel 2005, Gojra nel 2009 e molti altri. L’impunità incoraggia alcuni settori della società a condurre tali azioni contro i più deboli”.
Rojar Noor Alam, direttore delle operazioni di Caritas Pakistan, domanda: “La morte di uno studente può portare al cambio della legge sulla blasfemia? La questione è ancora aperta”. Per il cattolico, la sentenza “offre un barlume di speranza per far capire a coloro che vogliono risolvere dispute personali che non possono osare mettersi al posto della legge. Il rapporto della commissione evidenzia che l’assassinio è stato pianificato, e quindi la blasfemia viene usata solo come strumento. Alziamo la nostra voce e preghiamo insieme che non avvengano mai più omicidi come quello di Mashal Khan”.
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