26/09/2016, 13.22
SIRIA
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Gesuita: I piani confusi delle potenze mondiali alimentano il dramma di Aleppo

P. Sami Hallak racconta un sentimento diffuso di “incomprensione” fra la popolazione civile. Nel settore ovest regna una relativa calma, ma la “povertà aumenta”, insieme alla disoccupazione. La battaglia concentrata sul settore orientale, dal quale giungono “bombe ed esplosioni”. Misericordia è “non essere partecipi delle violenze” e ricostruire “una vita nuova”, ma “la pace è lontana”. 

Aleppo (AsiaNews) - Ad Aleppo regna un sentimento diffuso di “incomprensione” fra la popolazione civile, che “non riesce a capire” il gioco delle potenze internazionali sulla pelle delle vittime innocenti. Nella metropoli “si vive nell’incertezza più totale” e non è possibile immaginale “il futuro” della città e di tutto il Paese. È quanto racconta ad AsiaNews p. Sami Hallak, uno dei due sacerdoti gesuiti operativi nella metropoli del nord per conto del Jesuit Refugee Service (Jrs).

Nel febbraio scorso il religioso aveva pubblicato un “Diario della crisi”, in cui descriveva le difficoltà della popolazione fra mancanza di acqua, violenze e bombardamenti, elogiando al contempo la “fede incrollabile” dei cristiani, “miracolo” più forte della guerra e dei morti. “Sentiamo le dichiarazioni dei vari leader internazionali - commenta il sacerdote - ma ogni giorno emerge un programma, un piano diverso per la città. Noi aspettiamo con fiducia, ma regna una grande confusione e il peso di un’incertezza sempre più difficile da sopportare”. 

Dal fallimento del cessate il fuoco - iniziato con la festa islamica del Sacrificio (Eid al-Adha) ed esauritosi in una sola settimana - si è registrata una escalation di violenze ad Aleppo, un tempo capitale economica e commerciale della Siria. L’inviato speciale Onu Staffan de Mistura parla di giorni “agghiaccianti”, fra i “peggiori” da che è iniziato il conflitto e “il deterioramento della situazione” sta raggiungendo “nuove vette di orrore”.

Intervenendo nel fine settimana alla riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, egli ha ribadito la “delusione” per il mancato accordo sulla ripresa del cessate il fuoco raggiunto il 9 settembre scorso da Washington e Mosca. E per via del “caos che regna”, ormai ad Aleppo non è più possibile “contare i morti”. 

Con la convocazione del Consiglio Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti cercano di aumentare la pressione sulla Russia, principale alleato di Damasco, per far cessare i bombardamenti. Fonti locali riferiscono che, dalla rottura della tregua, sarebbero morti almeno 231 civili; dal 22 settembre scorso le vittime sono 115, di cui 19 bambini, anche se è impossibile avere un bilancio ufficiale.

Il segretario generale Onu Ban Ki-moon lancia un appello a “tutti coloro che hanno influenza in Siria” a “lavorare di più per porre fine all’incubo”. L’obiettivo è rinnovare la tregua, raggiungendo almeno 48 ore settimanali di stop nei bombardamenti per la consegna di aiuti umanitari e l’evacuazione dei feriti dalla zona orientale.

Damasco e Mosca starebbero usando in questi ultimi giorni una forza “senza precedenti” per vincere la resistenza dei ribelli asserragliati nel quartiere orientale, un’area dove vivono 250mila persone (altri parlano di 326mila abitanti) da oltre due mesi senza aiuti. Secondo l’ambasciatrice Usa all’Onu si sono registrati 150 attacchi nelle ultime 72 ore. Il ministro siriano degli Esteri si dice “fiducioso” della vittoria, potendo contare su “veri amici” come Russia, Iran e gli Hezbollah libanesi. Attivisti anti-regime denunciano l’uso di bombe al fosforo contro la popolazione civile. 

In cinque anni la guerra ha causato oltre 300mila morti (430mila secondo altre fonti) e milioni di profughi, originando una catastrofe umanitaria senza precedenti. Oltre 4,8 milioni di persone sono fuggite all’estero, 6,5 milioni gli sfollati interni. “E dopo cinque anni la pace è ancora lontana” commenta p. Sami Hallak e “per noi non cambia nulla, a partire dalla situazione sul terreno che resta di grave crisi, per la mancanza di elettricità e altri beni primari”. “La povertà aumenta” aggiunge “e la disoccupazione, in particolare fra i giovani, rende ancora più grave il problema”. 

Ad Aleppo ovest, nell’area controllata dal governo, “la gente continua a vivere in modo ordinario” e “non vi sono gravi episodi di violenza, non si sentono più cadere razzi o mortai come avveniva in passato” racconta ad AsiaNews il gesuita, che parla di “situazione relativamente calma”. Di contro, “la guerra e i combattimenti infuriano nel settore orientale, nelle mani dei ribelli, dove si sentono bombe ed esplosioni intensi… qui si concentra il conflitto”. 

P. Sami descrive una popolazione civile confusa, che si chiede “quale sarà il futuro della città. Si ha l’impressione che ogni giorno vi sia un nuovo piano per Aleppo”, e noi restiamo in attesa”. “Noi desideriamo solo la pace - aggiunge - e anche se sembra molto lontana, manteniamo la speranza. Noi come chiunque altro è rimasto ad Aleppo, siamo qui per contribuire alla rinascita della città”. 

In questo Anno giubilare, conclude il sacerdote, la parola “misericordia” implica “essere partecipi delle violenze che colpiscono questo popolo, questo Paese, e contribuire restituirlo a vita nuova. Vuol dire essere vicini a quanti soffrono, contribuire al sostegno sul piano umanitario e all’aiuto psicologico. Dobbiamo guarire le profonde ferite della guerra, costruire l’avvenire, siamo qui perché abbiamo un ruolo e una missione in mezzo a gente sempre più in difficoltà”. 

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