Erdogan si professa difensore dei cristiani, ma le comunità turche e siriane hanno paura
Il presidente turco si dice “sensibile” ai problemi della minoranza e promette un “contribuito” alla ricostruzione. Ma l’offensiva contro i curdi è fonte di crescenti violenze anche verso i cristiani. Fedele a Diyarbakir: “Non riceviamo alcun aiuto dallo Stato”. Comunità siriane: “Abbiamo paura per i nostri figli e le nostre famiglie”.
Damasco (AsiaNews) - Assiri e caldei in Turchia e oltre-confine, nel nord-est della Siria, sono sempre più oggetto di violenze a dispetto dei proclami del presidente Recep Tayyip Erdogan, rilanciati anche da agenzie cattoliche, che si professa difensore delle minoranze. Repressioni e attacchi che sono aumentati nelle ultime settimane, in concomitanza con l’offensiva lanciata dal “sultano” contro i curdi in Siria, ma che si è trasformata in una sorta di “pulizia etnica soft” che ha travolto anche i cristiani.
Negli anni ‘60 del secolo scorso vi erano diverse centinaia di famiglie cristiane a Diyarbakir, la più importante città (a maggioranza curda) nel sud-est della Turchia. Oggi ne sono rimaste solo quattro, due delle quali vivono all’interno della parrocchia della Vergine Maria nel distretto di Sur. “Sono scappate per diversi motivi: pressioni economiche, politiche” racconta il 43enne Saliba Acis. Una piccola parte si è trasferita a Istanbul, ma la maggioranza ha scelto la fuga in Europa, Australia o America. Dalla guerra in Siria alle violenze dello Stato islamico (SI, ex Isis), sono molti i motivi che hanno favorito la diaspora dei cristiani in Medio oriente. Ma fra i fedeli della parrocchia della Vergine Maria la paura più grossa è per la guerra ai curdi del presidente Erdogan e la distruzione di una memoria vivente (della storia e della cultura cristiane) da parte dello Stato turco.
Nell’agosto scorso, a Istanbul, Erdogan aveva partecipato alla posa della prima pietra di una nuova chiesa assira nel distretto di Yesilkoy. Per l’occasione egli aveva affermato che “il vero obiettivo dei gruppi terroristi è la nostra patria comune” e il miglior modo per combatterli è “valorizzare le differenze” che costituiscono una “ricchezza”.
Di recente, a conclusione dell’incontro con Trump, ha detto che il governo turco è “sensibile” rispetto alla condizione dei cristiani, e ha promesso al contempo un “contributo” alla ricostruzione di chiese e santuari. Ankara, ha aggiunto, ha già elaborato “piani” a favore delle comunità presenti nelle aree di confine, partendo dalla “assistenza sanitaria e aiuti umanitari”.
Parole che suonano vuote a Diyarbakir, dove la congregazione dice di avere ben pochi motivi per ringraziare il presidente turco. “Non riceviamo alcun aiuto dallo Stato - afferma Acis - questa chiesa è ancora viva grazie all’opera della comunità”.
Analoga situazione di timore e preoccupazione si respira anche oltre-confine, nei villaggi e nelle cittadine a maggioranza cristiana del nord-est della Siria, sfuggite a fatica nel recente passato alle violenze dell’Isis, e che oggi osservano “con ansia” l’avanzata turca. Simon, 56enne originaria del villaggio di Tal Kefji, ha lasciato la propria casa che si trovava non molto distante dalla zona dei combattimenti, trovando rifugio a Tal Tamr, più a sud. “Noi donne siamo fuggite - racconta - perché avevamo paura delle bombe”. Vogliamo solo la pace, aggiunge, “ho lasciato dietro di me così tanti ricordi... mio marito, la mia casa, la mia famiglia e i miei vicini”. L’uomo, come molti altri, si è unito a una piccola milizia cristiana che dal 2015 si batte a difesa dei villaggi assiri, in passato contro l’Isis e oggi di fronte all’avanzata della minaccia turca.
L’offensiva voluta da Erdogan ha causato finora la morte di 150 civili, anche cristiani, e la fuga di 300mila persone, oggi sfollate. “La minaccia turca di un attacco ai nostri villaggi” è reale, conferma il 48enne assiro Aisho Nissan, “e molti sono fuggiti”. “Il destino della nostra regione resta incerto - conclude - abbiamo paura per i nostri figli e le nostre famiglie”.
31/08/2021 11:10
07/08/2020 08:49