18/10/2019, 08.57
SIRIA - TURCHIA - USA
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Erdogan accetta la tregua Usa: cinque giorni di stop ai combattimenti

Una pausa per permettere la ritirata delle truppe curde, che denunciano l’uso di armi chimiche. Analisti ed esperti parlano di resa ulteriore degli Stati Uniti alle mire di Ankara. Si aggrava il bilancio delle vittime: 224 fra gli arabo-curdi, 183 nei gruppi filo-turchi e 72 civili. Oltre 300mila gli sfollati. 

Ankara (AsiaNews/Agenzie) - Ankara blocca per cinque giorni l’offensiva lanciata oltreconfine in Siria per colpire i “terroristi” curdi (le milizie Ypg protagoniste della lotta contro l’Isis); in cambio gli Stati Uniti non imporranno nuove sanzioni economiche e commerciali ad Ankara. È questo il frutto dell’accordo raggiunto ieri fra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il vice-presidente statunitense Mike Pence, in visita ufficiale nella capitale turca. Washington “approfitterà” di questo tempo per favorire la ritirata dei curdi oltre la “zona cuscinetto” voluta dal “Sultano” a garanzia della sicurezza dei confini. 

L’annuncio è giunto al termine di un lungo confronto, durato ore, fra le due delegazioni. Erdogan ha acconsentito a fermare l’avanzata delle proprie truppe, sostenute sul terreno da gruppi ribelli e jihadisti anti-Assad, e che ha già causato centinaia di morti, anche civili. In cambio gli Usa hanno bloccato nuove sanzioni e promesso di rimuovere le misure punitive già prese la scorsa settimana contro l’economia di Ankara, che Trump ha minacciato di “distruggere”.  

La fine della tregua coincide peraltro con l’incontro in programma a Sochi fra il presidente russo Vladimir Putin e l’omologo turco Erdogan. 

Il leader delle Forze democratiche siriane (Sdf) riferisce di aver accettato la proposta turca, ma solo per quanto concerne l’interruzione dei combattimenti nella parte compresa fra  Ras al Ain e Tal Abyad. Nessun commento sulla parte riguardante il ritiro delle forze curde dalla “safe zone”, il loro disarmo e lo smantellamento delle postazioni militari. Secondo alcuni analisti ed esperti, peraltro, questa tregua non è un tentativo per allentare la tensione ma una “resa” imposta ai curdi, che in queste ore hanno denunciato l’uso di armi chimiche da parte dei turchi.

Intanto il bilancio dell’offensiva si fa sempre più pesante, con vittime e feriti anche fra la popolazione civile. Secondo quanto riferisce l’Osservatorio siriano per i diritti umani, ong con base nel Regno Unito e una fitta rete di informatori sul territorio, i morti fra le fila delle Forze democratiche siriane (Sdf, l’alleanza arabo-curda) sale a 224 dopo otto giorni di combattimenti serrati. Almeno 183 le vittime registrate fra i gruppi ribelli e jihadisti che sostengono l’esercito turco in questa campagna militare. Pesante pure il bilancio delle vittime civili, che tocca quota 72 fra i quali vi sono anche cristiani

Per quanto concerne gli sfollati, in fuga dal nord-est della Siria, il totale ha superato quota 300mila come conferma il direttore dell’Osservatorio Rami Abdel Rahman. Il bilancio si è aggravato negli ultimi giorni, con un esodo massiccio dalle città di Tal Abyad, Kobane e dalla provincia di Hassaké. La maggior parte delle persone in cerca di rifugio si è diretta da parenti e familiari in aree considerate più sicure, alcuni in campi coltivati e frutteti, e altri ancora nelle 40 scuole della zona trasformate in rifugi di emergenza. 

La questione degli sfollati e un loro possibile esodo di massa verso il Kurdistan irakeno, sempre più a rischio destabilizzazione, è uno dei pericoli legati a questa offensiva lanciata il 9 ottobre scorso dalla Turchia, come hanno sottolineato in questi giorni leader cristiani ad AsiaNews. A questo si aggiunge il pericolo di un ritorno dello Stato islamico (SI, ex Isis), che intende approfittare del caos per liberare i combattenti detenuti nelle prigioni curde e riorganizzarsi sul piano militare.

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