22/07/2009, 00.00
ITALIA
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Enciclica: anche in campo economico è fondamentale la centralità della persona

di Maurizio d’Orlando
La “Caritas in veritate” ribadisce il concetto-chiave della dottrina sociale al mondo della globalizzazione. Si tratta di ricoprire il senso della responsabilità e del merito di ciascuno, della famiglia, dell’impresa, della comunità locale e nazionale non come collettivo fluido di atomi senza nome e senza storia: l’attività economica come “actus personae” deve assumere un significato specifico e concreto riferito ad un corpo plurale, laddove necessario, ma unitario solidale e coeso al suo interno. Una messa in guardia dai pericoli dell’assolutismo tecnologico.
Milano (AsiaNews) - La “Caritas in Veritate” è un’enciclica sociale e si pone esplicitamente in piena continuità con le precedenti, a partire dalla Rerum Novarum. In quanto tale, non ci offre proposizioni aggiuntive alla dottrina della fede, ma parla al nostro tempo, un tempo di transizione. Perciò stesso possiamo considerarla la più alta forma di illuminismo cristiano e un’enciclica “di transizione”, oltre che un ammonimento implicito.
 
Chi aveva ipotizzato o temuto che la nuova enciclica sociale di papa Benedetto XVI potesse esprimere un ritorno al passato, una forma di restaurazione, in termini diciamo pure reazionari si vede perciò smentito. I temi toccati sono davvero tanti ed è realmente impossibile parlare di tutti, anche perché sono di per sé esposti in maniera molto chiara. Soprattutto, in termini di analisi sia dei rischi che delle opportunità, l’esame degli argomenti trattati espone delle posizioni largamente condivise e condivisibili anche da chi è lontano dalla Chiesa cattolica e dalla Fede cristiana. Proprio questo, in fondo, era l’intento del Papa: parlare non ai soli cattolici, ma a tutti gli uomini del nostro tempo qualunque sia la loro religione, fede, convinzione politica o filosofica, a qualunque popolo civiltà, razza appartengano.
 
Tra i temi economici, di particolare importanza è la ripresa di quanto era già stato espresso da Giovanni Paolo II: l’attività economica da intendersi sempre come “actus personae”. La centralità della persona è da sempre una caratteristica fondamentale della dottrina cattolica perché interpella ciascuno e da ciascuno sollecita una risposta (“E voi chi dite che io sia ?”). Non solo in ambito sociale ed economico, ma anche in tema di solidarietà, la persona ed il suo agire concreto nel mondo sono perciò preminenti sul collettivo. La globalizzazione, il perno del dibattito economico di questi nostri anni, offre a questa concezione una sfida anche maggiore. L’abbattimento delle tariffe doganali e delle barriere non tariffarie conduce progressivamente in ogni settore economico al formarsi di un unico mercato mondiale per ciascun settore e ciascuna merceologia. Le conseguenze sulle dinamiche di mercato sono il formarsi di aggregati aziendali di dimensioni planetarie ed impersonali. Gli esiti sono riconducibili alle diverse ipotesi trattate nei testi di microeconomia in uso al primo anno della maggior parte dei corsi universitari di economia.
 
In un simile contesto, la generica condanna dell’avidità e dell’avarizia non coglie il senso profondo degli accadimenti e rimane quindi inascoltata. Si corre così il grave rischio che essa venga vissuta solo come una geremiade inattuabile e lontana dal quotidiano. Facilmente diviene perciò priva di effetti, un valore etico privo di valenza comportamentale. La condanna dell’avidità e dell’avarizia, viceversa, ha un valore perenne individuale ed universale e non è solo dell’Antico e Nuovo Testamento: della “esecranda cupidigia di denaro” (“sacra auri fames”) scriveva anche un poeta pagano, Virgilio.
 
L’attenzione alla necessità di preservare la dimensione personale dell’agire economico offre quindi un importante metro di valutazione ed una traccia da seguire nello sviluppo dell'economia. Ovviamente non si tratta di concepire un ambito economico ristretto, puramente artigianale. Si tratta di ricoprire il senso della responsabilità e del merito di ciascuno, della famiglia, dell’impresa, della comunità locale e nazionale non come collettivo fluido di atomi senza nome e senza storia, senza né passato né presente: l’attività economica come “actus personae” deve assumere un significato specifico e concreto riferito ad un corpo plurale, laddove necessario, ma unitario solidale e coeso al suo interno.
 
L’ammonimento implicito dell’enciclica papale è anche un accorato appello di un papa che vive ed è immerso nel mondo moderno e postmoderno. Per questo Benedetto XVI con i numerosi moniti contenuti nella “Caritas in Veritate” ci mette in guardia soprattutto dai pericoli dell’assolutismo tecnologico. Ne può derivare una tirannide imperiale planetaria che mette a rischio non solo la democrazia, ma le stesse istituzioni repubblicane, laddove in questi ultimi decenni anche l’amministrazione interna della Sede Apostolica ha più la connotazione di un governo repubblicano che non di un regno. La tecnologia, così come l’economia, la politica ed ogni altro ambito umano, non possono pretendere di essere autoreferenziali, se non a rischio di una autodistruzione senza appello.
 
Archiviati, dopo la II guerra mondiale, il 1922 ed il 1933, archiviato il 1917 con la caduta del muro di Berlino e con esso ogni forma di “1793”, di terrore rivoluzionario, il persistere dell’uomo moderno sul sentiero dell’autoreferenzialità ci sta portando verso un passaggio epocale ancora più marcato. Il Papa non lo scrive in questa forma diretta e un po’ brutale, ma è nei fatti di oggi. Il progressivo abbandono dei principi del 1648 (il concetto di sovranità nazionale e la non ingerenza negli affari interni di uno Stato sovrano – cuius regio eius religio) e del 1776 (la dichiarazione d’indipendenza americana e la sovranità popolare), il prevalere dell’antropologia dell’homo oeconomicus e l’utilitarismo della filosofia bensoniana della matematica sociale, si sommano all’onda lunga del 1968 (il vietato vietare, la rivoluzione dei costumi e la narcosi del nichilismo anarchico individualista). Tutta una serie di cicli plurisecolari convergono perciò in uno snodo umanamente inestricabile. Ne è sintomo, non causa, la recente crisi economica innescata dal fallimento della finanza (secondo Neil Barofsky ispettore generale del Tesoro in un recente rapporto al Congresso, il parlamento americano, il totale impegnato in pochi mesi a difesa delle istituzioni finanziarie ammonta a 23.700 miliardi di dollari, quasi il 167 % del PIL USA). Come l’epoca dell’assolutismo innescò la rivoluzione che rovesciò le stesse istituzioni monarchiche aprendo la strada alla modernità, allo stesso modo l’assolutismo tecnologico ed individualista potrebbe aprire la strada ad un rovesciamento non solo del 1944 (Bretton Woods) e del 1945 ma addirittura del 1789 e del sistema democratico e repubblicano. È una strada senza ritorno, forse siamo sull’orlo di un abisso. Quest’enciclica del Pontefice Benedetto XVI è quasi una sorta di affranto presagio e di appassionato richiamo all’umanità affinché non cada in una voragine in cui molti potrebbero rimanere intrappolati.
 
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