09/04/2018, 14.21
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Economia mondiale in crisi. La fine di un'epoca (I)

di Maurizio d'Orlando

Analisi e commenti parlano di un’economia in ripresa. Ma è solo apparenza (e forse falsità): la “ripresa” è soltanto frutto di emissioni monetarie da parte di tutte le banche centrali del mondo. In realtà molti si aspettano lo scoppio di un’enorme bolla speculativa, mentre l’economia reale rimane umiliata. Siamo alla vigilia del cambiamento di un’epoca che potrebbe travolgere i governi in occidente e in oriente. Dal nostro esperto di economia politica. La prima di quattro parti.

Milano (AsiaNews) - Un mio caro amico, il direttore di AsiaNews, da tempo si chiede: “Possibile che chi sin dal 2005, quando cioè ancora nessuno avanzava sospetti o suggeriva cautele, ha previsto – grazie, direttore – la profonda successiva crisi del 2008, non abbia invece oggi alcunché da dire?”.

Il direttore insiste per avere un parere alternativo. Avrà un parere molto alternativo.

Chi scrive, infatti, da tempo ha smesso di guardare gli indici economici mondiali, il Pil, il tasso d’inflazione reale, il mercato dei cambi, l’andamento dei tassi d’interesse, gli indici azionari ed obbligazionari, i livelli della produzione manifatturiera, dell’edilizia, dell’occupazione e della disoccupazione, gli andamenti di mercato delle materie prime e dei metalli preziosi. A maggior ragione s’è tenuto alla larga da analisi e commenti di economia politica. Non si tratta di un capriccio, ma di un disaccordo profondo su come vengono riportati (o, meglio, falsati) i dati e gli indicatori economici e di un ripudio totale, ragionato e di base, del pensiero e delle dottrine economiche prevalenti, su cui le analisi ed i commenti economici si fondano.

L’economia mondiale sta bene. Sarà vero?

Il largo consenso tra i commentatori economici è che l’economia mondiale, almeno per tutto il 2018 e 2019, sia in generale in una fase di ripresa e l’attenzione è piuttosto sugli effetti del neo-protezionismo americano del presidente Trump. Al più qualche incertezza riguarda gli indici di borsa.

Il Dow Jones, l’indice primario della Borsa americana, agli inizi del 2009 era sceso a circa al livello di 7'000. In quattro anni era raddoppiato recuperando tutte le perdite dal 2007. Poi è salito in cinque anni da 14'000 a 26'600. In quest’ultimo periodo è poi ridisceso ed ora si colloca attorno a 23'500. Un simile andamento sostanzialmente si riscontra anche per altri parametri di borsa. Si tratta di inevitabili piccole correzioni di indici che hanno corso senza sosta ed ora “tirano un po’ il fiato”? Oppure si tratta dei primi segnali di cedimento che preannunciano una grande correzione simile a quella dell’autunno 2008? Ovviamente le seguenti considerazioni non sono finalizzata a fornire su questo sito un orientamento per investimenti finanziari ma a capire se vi siano dei presagi di una nuova grande crisi economica.

Nel commentare queste oscillazioni, uno degli economisti asiatici più pessimisti, che mi sono stati segnalati, Andy Xie, afferma (correttamente) che quello attuale non è che un moderato ristorno delle quotazioni, non un crollo. “Il mercato azionario è immerso in un’enorme bolla (speculativa), più ancora che nel 2007, nel 2000, o il 1929, a causa di una politica monetaria ultra accomodante che è stata adottata per un decennio”. Educatamente Andy Xie si riferisce al diluvio quotidiano di emissione monetaria attuata in tutto il mondo da tutte le banche centrali a partire dal 2009. “La vera esplosione ci sarà ma probabilmente non nel 2018”. Dunque, secondo questo filone di pensiero, una crisi sta maturando, la bolla finirà per esplodere, ma sarà salutare e riporterà ordine e logica nel sistema, e dopo la grande tempesta tornerà infine la normalità. 

Per chi scrive anche Andy Xie – e quelli che la pensano come lui – è dunque un normalista sistemico, pessimista nel breve ma ottimista nel lungo periodo. Il principio che sta alla base di questa visione non è nuovo, è molto umano ed esprime la ciclicità delle vicende mondane. È Giambattista Vico rivisitato ed immanentismo. È la visione di molti che per le previsioni economiche si affidano ai grafici, i “chartisti”[1]. Lungi da me – anche per una serie di questioni personali che mi hanno marcato profondamente (mio nonno perse tutto nella crisi del ’29) – sminuire il valore di queste analisi, perché sono in larga misura corrette. Anche questo pessimismo è, però, riduttivo e si basa su un assunto non dimostrato: la supposta circolarità della storia e, quindi, anche dell’economia.

Emissioni monetarie all’infinito

Chiariamolo subito: la fede sulla linearità del progresso e dell’espansione economica e dei listini azionari è forse ben più pericolosa dello strologare complesso ed un po’ alchemico dei “chartisti”. Pensare che la QE, l’accomodamento economico – eufemismo per indicare un’emissione monetaria smisurata volta a salvare le borse e le banche, non l’economia reale – il “miracolo” (che miracolo non è stato affatto) possa continuare all’infinito non lo crede più nessuno, nemmeno le banche centrali, la Fed americana, la BCE europea, la britannica BoE, la BoJ giapponese, la PBC cinese, la BNS svizzera. Sono talmente ingolfate di titoli tossici, hanno talmente dilatato i propri bilanci con carta straccia che, pur essendo “costrette” per dovere d’ufficio a parlare con “lingua biforcuta” nelle conferenze stampa che il politicamente corretto della “trasparenza” – altra putrefatta falsità – impone, sanno bene che di altra QE si può solo morire ed anche più in fretta del dovuto. A credere ancora nella QE e nella linearità del progresso dei listini e dei mercati monetari non sono rimasti che una pattuglia di “esperti”, sempre i soliti, usati per mantenere viva la narrativa dell’ottimismo. In gran parte si tratta di “fedeli” di economisti militanti del QE all’infinito, costi quel che costi[2], tipo i premi Nobel Paul Krugman e Joihn Stiglitz. Come i soldati dell’esercito imperiale giapponese che a trent’anni dalla fine della guerra si nascondevano nella giungla per evitare il disonore della resa, così anche gli ultimi keynesiani della spesa allegra, questi riveriti “commentatori” si rifiutano di arrendersi all’evidenza, sopravvivendo alla meno peggio nel sottobosco di qualche redazione economica e “progressista”. Per loro non c’è niente da fare, si tratta di una fede laica, continuano e continueranno sempre a crederci. Se si prende la crescita reale dell’economia, depurata cioè dell’inflazione correttamente valutata, è stata negativa almeno dal 2004 /2005[3]. In tale epoca con diversi articoli su AsiaNews chi scrive metteva in guardia che una grave crisi era in arrivo. Viceversa la quasi totalità dei commentatori, sulle pagine della grande stampa e dalle reti televisive, rabboniva l’opinione pubblica che era arrivata l’epoca dello sviluppo senza fine. È arrivata poi la crisi del 2007/2008, (quella che hanno detto è stata innescata dal fallimento della Lehman Brothers). Dopo un picco negativo del Pil a – 6% nel 2009 la crescita si è stabilizzata attorno al – 2 % annuo fino ad oggi. Anche se prendiamo i dati ufficiali (resi opportunamente più “rosei” del reale), dal culmine della crisi ad ora la crescita economica è rimasta molto contenuta negli USA (mentre in alcuni paesi come l’Italia è stata addirittura inesistente). Di fatto la QE a suon di centinaia di migliaia di miliardi non è servita solo a dare una ripresa dei mercati monetari e di borsa. La ripresa dal fondo della crisi è pura apparenza e mai come prima lo scollamento tra indici di borsa ed economia reale è stato così grande, grazie appunto alla QE infinita.

La BCE ha salvato (solo) le banche

La realtà, però, prima o poi, alla fine viene a galla ed a quel punto c’è solo da chiedersi quali ghiribizzi e sofismi verranno estratti dal cilindro degli illusionisti economici. Si prenda ad esempio la BNS, bastione keynesiano. Ha fatto addirittura cambiare la Costituzione Federale elvetica ed ha svenduto l’oro accumulato da generazioni di diligenti lavoratori svizzeri per comprare titoli azionari americani ed obbligazioni di ogni genere. È noto infatti che Keynes considerava l’oro come un relitto barbarico. Povera, piccola Svizzera, ultimo rifugio della civiltà europea durante due atroci guerre mondiali, sarai smembrata, non servi più nemmeno come cassaforte del continente. Quando i mercati azionari ed obbligazionari crolleranno, quando scoprirai quello che veramente c’è dietro la banconota da 100 franchi, che cosa ti racconterà quella masnada di briganti che ti tiene in pugno e ti fa marciare ordinatamente, come un orologio?

Nessuno, però si consoli pensando che altrove sia diverso, perché quello della BNS è solo un esempio, dappertutto è così. Se si volesse essere equanimi ci sarebbe tanto altro da ricordare.

Dovremmo infatti almeno accennare al paradossale e sin ridicolo rapporto, al 250 %, in Giappone, tra Pil e debito pubblico. Che sia tutto – o quasi – in mano a creditori interni giapponesi, poco importa, è un debito insostenibile, che mai sarà pagato.

Dovremmo anche dire – e qui il discorso diventerebbe molto lungo – del dirigismo e dello squilibrio economico strutturale dell’Unione Sovietica Europea, il Quarto Reich modellato sulle esigenze dell’economia tedesca, ma finiremmo poi inevitabilmente in un capitolo politico. Non potremmo, infatti, evitare di far riferimento alle scelte economiche della BCE e della Commissione Europea, che insieme formano un complesso di governo “illuminato” (il lettore vi legga ciò che vuole) ma privo di sovranità legittima. Altrimenti non si potrebbe spiegare perché da un lato sono state impiegate cifre colossali per salvare le banche, mentre dall’altro lato non si è fatto che opprimere di fatto i popoli del continente.

 

(Fine prima parte)

 

 


[1] Vedi ad esempio: Zerohedge, 03/02/2018, Similarities to 1929, 1987, 2000 & 2007 in play says Joe Friday

 

[2] È la politica del “whatever it takes” di accomodamento quantitativo, QE, annunciata da Mario Draghi il 26 luglio 2012, ma già attuata dalla Fed di Bernanke a partire dall’autunno 2008.

[3] Vedi http://www.shadowstats.com/alternate_data/gross-domestic-product-charts

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