18/04/2018, 12.39
EMIRATI ARABI UNITI - M. ORIENTE
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Dubai: Fra caos e opportunità, intellettuali e politici tracciano il futuro del mondo arabo

di Fady Noun

Secondo alcuni, l’avvenire è legato a una alleanza fra Paesi del Golfo ed Egitto. Ma le profonde differenze rappresentano un ostacolo al progetto di unità. Il fallimento della Lega araba e l’indebolimento degli Stati. L’ossessione iraniana e un tono nazionalista che appartiene al passato. Guerre, economia e democrazia sfide da risolvere con proposte che arrivano dall’interno.

 

Dubai (AsiaNews) - Il mondo arabo naviga in cattive acque. “Le ricadute del caos e le sfide volte alla costruzione della stabilità” è il tema complesso di un simposio di tre giorni, che la Fondazione del pensiero arabo ha tenuto di recente. Una analisi di insieme del problema, con una particolare attenzione dal punto di vista geopolitico. Gli incontri si sono tenuti a Dubai, sorprendente capitale futurista di un mondo arabo che importa più di quanto non sia in grado di produrre e che copia molto più di quanto non sia capace di inventare. Durante il simposio, che si è svolto dal 10 al 12 aprile, si sono levate diverse voci per protestare contro il futuro sin troppo pessimista tracciato da alcuni in questa circostanza. Tuttavia, la realtà dei fatti è ancor più allarmante.

Per valutare il “caos” che filtra sempre più nel mondo arabo e il vuoto che si scorge dal suo interno, se non per dissiparlo, ma per cercare almeno di tracciare una via verso la stabilità, il principe Khaled ben Fayçal ben Abdel Aziz, ideatore della Fondazione, si è rivolto verso l’accademico libanese Henri Awit. Quest’ultimo, infatti, rappresenta la sintesi compiuta, nella sua persona, delle due civiltà araba e occidentale, che egli ha saputo riassumente nel contesto di una squadra di consulenti di alto livello alle sue direttive.

Figlio del re Faysal di Arabia, assassinato nel 1975, il principe Khaled è coadiuvato dal fratello minore Turki el-Faysal, il quale ha ricoperto a lungo l’incarico di responsabile della sicurezza del regno ed ex ambasciatore a Washington. Il principe Khaled rifugge dall’etichetta di uomo politico. Questo non gli ha però impedito, nella sessione conclusiva del simposio, di proclamare che l’avvenire del mondo arabo è ormai legato a una alleanza fra Paesi del Golfo (in particolare fra Arabia Saudita ed Emirati) ed Egitto, Ai suoi occhi, questo rappresenta il nuovo riferimento della resistenza al “caos”. “Non lasceremo che siano altri a decidere per noi” ha scandito il governatore della provincia della Mecca, riferendosi agli Stati e alle forze che si stanno spartendo in questo momento la Siria e che decidono della sorte di una gran numero di Paesi (22 in totale) che formano la Lega araba.

I fatti e le aspettative

Sfortunatamente, i fatti sono lontani dal confermare le aspettative del principe Khaled e, dal Magreb al Golfo, passando per l’Egitto e il Mashrek, i 3 o 400 milioni di arabi che appartengono a questi sottoinsiemi differenti lottano disperatamente per accedere alla modernità e al possesso del loro destino. Tuttavia, è quantomeno inutile che la maggior parte di questi si affanni all’acquisto di tecnologia, rinnegando il percorso difficile - ma indispensabile - che devono compiere per acquisire la maturità politica che li accompagna. Un percorso indispensabile quantomeno sotto il profilo dell’educazione e della democrazia. Con 50 milioni di analfabeti, i Paesi della Lega araba sono ancora lontani dallo sforzo necessario a un raggiungimento di un livello minimo in questo settore. Con le loro dinastie e le loro dittature, sono ben lontani persino dal rispondere ai pressanti appelli alla democrazia e alla giustizia che provengono dai loro stessi popoli.

Inoltre, se dobbiamo credere a Ayad Allawi, vice-presidente di un Iraq ancora sconvolto da guerre, divisioni e violenze, presente anch’egli all’incontro, dopo la Libia e la Siria “le forze della distruzione” non sembrano affatto attenuate e, come un ciclone devastatore, “si dirigono verso il Golfo”.

La reputazione di un politologo di primo piano come Joseph Maïla non va nemmeno illustrata. Già rettore dell’università di san Giuseppe a Beirut, oggi professore di geopolitica all’Essec di Parigi dopo aver ricoperto l’incarico di dirigente dell’istituto stesso, Maïla ha moderato una delle più importanti tavole rotonde del simposio. Essa ha riunito specialisti di questioni internazionali provenienti da Stati Uniti, Cina, Russia e Unione europea. Una tavola rotonda seguita da un secondo dibattito che ha dato la parola ai rappresentanti di organizzazioni regionali e internazionali. Fra queste il Consiglio per la cooperazione dei Paesi del Golfo, la Escwa e la Lega araba.

“La novità di questa conferenza - sottolinea il politologo a L’Orient-Le jour - è che essa era aperta a tutte le sensibilità del mondo arabo, e per questo dobbiamo essere grati a Henri Awit che ha saputo elevarla a una credibilità internazionale, facendo variare i punti di vista. Il suo maggiore interesse è che tutti noi potessimo trovarci davanti a una riflessione inquieta sul futuro del mondo arabo. Questa conferenza è una cassa di risonanza per le domande, le angosce, i sentimenti dei dirigenti arabi e dei loro popoli. Sappiamo che questi quesiti resteranno senza risposta nell’immediato. La Lega araba non esiste. Gli Stati arabi sono indeboliti. Siamo al livello di pure intenzioni. Ma non dobbiamo sottovalutarlo. Non è un discorso di mera impotenza, ma di una inquietudine di fondo che emerge. Sembra ormai sempre più evidente che le guerre e le divisioni insostenibili siano state a tutto vantaggio di nazioni non arabe della regione, a partire da Israele, Turchia e Iran, che sono in procinto di assumere una posizione rilevante e di decidere in un certo qual modo del futuro di questa regione. Vi è dunque una specie di soprassalto: la riconfigurazione del mondo arabo sta per essere fatta da tutti meno che dagli arabi stessi!”.

L’influenza iraniana

“L’ossessione dell’influenza iraniana è assai dettagliata - prosegue Maïla -. Spesso si pensa che vi sia un piano di espansione strategica iraniana. Certo, questo piano si sovrappone alla divisione sunnita-sciita ma, in realtà, è un piano di sviluppo di una strategia di dominio e di egemonia”. “Quello che mi ha colpito - sottolinea - è il tono nazionalista arabo, che suona un po’ antiquato e fors’anche surreale. Si evidenzia il ruolo dello Stato nazionale, il discorso è improntato al nazionalismo arabo. Vi è una istanza della quale dobbiamo riappropriarci, di fronte all’intervento straniero, per un ritorno allo Stato-nazione che deve essere garantito, in modo intelligente, mediante un riavvicinamento fra Stato e popolo. Questo motivo è ritornato di frequente negli interventi di Fouad Siniora, Ahmad Aboul Ghaith, del principe Turki e di Nassif Youssef Hitti. Eppure il paradosso è evidente fra discorsi che parlano di nazione araba nella sua interezza e una realtà che scompare ogni giorno di più sul terreno”.

Per Florence Gaub, co-direttrice dell’Istituto di studi sulla sicurezza Ue, il mondo arabo è “davanti a un bivio”. La sua lettura degli eventi ha una maggiore empatia di quella di Joseph Maïla. “Il mondo arabo è in crisi - afferma - e chi parla di crisi, parla di scelta. Esso è proprio il senso etimologico della parola crisi in greco. Per il mondo arabo è l’ora delle scelte, in prima analisi quella sulla sicurezza. Autrice di una memoria sulla ricostruzione dell’esercito libanese dopo la guerra civile, Florence Gaub si muove su un terreno che ben conosce. “I Paesi arabi fanno esperienza di guerre esterne, ma il loro vero problema sono le guerre intestine, le guerre civili, che il Libano ben conosce” spiega la giovane analista. “Ho già spiegato durante la conferenza - aggiunge - che non sapevo come risolverle. Nemmeno la comunità internazionale. Altrimenti, la guerra in Libano si sarebbe conclusa ben prima. Il sistema di prevenzione non esiste. Bisogna inventarlo. E serve uno sforzo intellettuale e creativo per farlo”.

La sfida della democrazia

“La seconda sfida per questi Paesi arabi - prosegue - è quella della democrazia. La democrazia nasce in genere da un movimento di giustizia sociale. Le diseguaglianze sociali nella regione sono molto importanti. Bisogna trovare il modo - aggiunge Florance Gaub - di assicurare un minimo di uguaglianza economica”.

“La terza sfida è di natura economica. Si tratterà di capire come gli Stati sapranno trarre vantaggi dai beni della regione. Si tratta in effetti di una regione giovane - la metà della popolazione irakena ha meno di 19 anni - e, secondo le previsioni, la percentuale dei giovani dell’Arabia Saudita, in rapporto alla popolazione totale, continuerà a crescere fino al 2050. Questo rappresenta al tempo stesso una sfida enorme e un grande vantaggio. I giovani sono creativi e lavoratori, ma bisogna garantire loro l’opportunità di manifestare queste qualità. Perché attenzione, vi è una correlazione fra la disoccupazione giovanile e l’inciviltà politica. Questa è statistica: quando la percentuale giovanile supera il 30%, vi sono possibilità di destabilizzazioni. Bisogna trovare una risposta a tutto questo”.

“Perché fare queste domande? Perché è proprio per questo che si sono tenuti questi incontri” sottolinea Gaub. “E voglio spingermi oltre nel mio ragionamento: penso che sia il momento giusto per farlo. I Paesi della regione sono indipendenti da decenni. Ed è giunta l’ora perché essi siano indipendenti anche da un punto di vista intellettuale e che comincino a pensare per loro stessi. Ho sentito qualcuno durante la conferenza dire che i Paesi arabi sono in ritardo di 600 anni, Non è il modo giusto di ragionare. Certo, alcuni livelli di sviluppo non sono gli stessi, ma questo non vuol dire che si deve attraversare, sul piano economico, le tappe percorse dall’Occidente. È giunto il tempo di liberarsi dall’idea che vi sia un solo modello e che debba essere perseguito. Apprendere, vuol dire cogliere e innovare. Penso che sia giunto il momento di farlo. Il principe Turki ha parlato dell’esistenza di un ‘vuoto strategico’ nella regione. Penso che non vi sia un vuoto strategico, ma una occasione unica di liberare la regione del Medio oriente dalle sue dipendenze. Non vi sono motivi per non farlo. Questa regione appartiene a quanti la vivono allo stesso modo in cui le altre nel mondo appartengono a quanti le abitano”.

Con la sua polifonia politica, con la rappresentatività dei suoi oratori che mischiava funzionari e intellettuali giunti da quasi tutti i Paesi arabi, il simposio di Dubai ha rappresentato un momento di forte riflessione e di immaginazione politica, in linea con il momento cruciale della storia del mondo arabo.

 

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