12/06/2007, 00.00
MALAYSIA
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Dopo Lina Joy, musulmani si confrontano sull’apostasia

In un affollato dibattito pubblico, esperti di legge e di islam riflettono sul conflitto tra sharia e legge civile sul tema delle conversioni. Alcuni indicano un margine di dibattito, perché la pena per l’apostata è una “creazione umana non contenuta nel Corano”. Altri invece sostengono che prima del dialogo deve esserci il “rispetto della religione e degli esperti”.

Kuala Lumpur (AsiaNews) –  In Malaysia continua a rimanere alta l'attenzione sul caso Lina Joy, mentre la società civile si interroga sulla possibile soluzione del conflitto sempre più evidente tra legge islamica e Costituzione civile nel Paese. Oltre 600 persone si sono riunite lo sorso 7 giugno all’hotel Petaling Jaya a Kuala Lumpur per discutere con autorità e specialisti di islam sul problema dell’apostasia e della libertà religiosa in Malaysia. Il dibattito pubblico, organizzato dal Democratic Action Party (DAP), aveva come titolo “La Malaysia, dopo Lina Joy”. Proprio il caso della donna malay a cui il mese scorso la Corte Federale  ha rifiutato di riconoscere la conversione al cristianesimo rimandando tutto al tribunale islamico, ha portato sotto i riflettori le contraddizioni interne al sistema giuridico nazionale.

Pur garantendo formalmente piena libertà religiosa, infatti, la Malaysia stabilisce che tutte le questioni di fede dei malay - anche la loro conversione - vadano giudicate dalla Corte islamica e non dalle leggi civili. Di fatto nel Paese esistono due legislazioni: quella islamica e quella costituzionale che spesso entrano in conflitto. Nel caso di Lina Joy è evidente: la Costituzione garantisce la libertà di religione; la legge islamica proibisce la conversione a un'altra religione.

Il 7 giugno scorso l’animato incontro pubblico ha visto confrontarsi, tra gli altri, esponenti del mondo musulmano, esperti di legge e attivisti sociali. Ha suscitato interesse l’intervento del professore associato di legge Azmin Sharom, della Universiti Malaya, la prima a livello nazionale. “L’apostasia è qualcosa di sbagliato? Sì è un peccato – afferma - ma il Corano non dice quale punizione terrena comminare. La questione è ancora aperta; la pena per l’apostata è una creazione degli studiosi islamici ed è quindi umana, non divina”. “La Costituzione – ha sottolineato - stabilisce che la sharia punisce chi offende i precetti dell’islam, ma non spiega quali siano questi precetti”. Secondo il professore un approccio giusto sarebbe quello di “chiedersi e capire perché i musulmani vogliono lasciare l’islam, piuttosto che decidere punizioni". “Il nostro Paese si sta muovendo verso lo Stato islamico, io sono invece convinto che solo la laicità dello stato può proteggere tutte le religioni”.  

Contestato in più riprese dal pubblico, invece, il discorso di Yusri Mohamad, presidente del Muslim Youth Movement of Malaysia (Abim), secondo il quale il “rispetto dell’islam, viene prima di ogni possibile dialogo”. Il leader, a capo anche di un’organizzazione in difesa dell’islam dalla legge civile, ha ribattuto chiedendo “chi può determinare quale parte dell’islam è già stabilita e quale ancora aperta al dibattito? Prima di tutto deve esserci il rispetto dell’autorità e degli esperti di islam”. Secondo Yusri, lasciare la fede è una questione di competenza della sharia, anche se “c’è ancora spazio per rivedere le leggi sull’apostasia sempre, ribadisco, tenendo fermo il rispetto dell’islam”.

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