Davao: “La gente ha fame”, un morto e 13 feriti negli scontri per la siccità
Circa 6mila contadini si sono riversati a Kidapawan, sud del Paese, chiedendo riso e affrontando la polizia. Da quattro mesi non piove. Missionario Pime: “Da quattro giorni la protesta va avanti. Il governo non ha fatto nulla per evitare lo scoppio della siccità. Da mesi abbiamo la fila di persone in parrocchia che chiedono una mano”.
Davao (AsiaNews) – È di un morto e 13 feriti il bilancio degli scontri avvenuti questa mattina a Kidapawan, cittadina nel sud delle Filippine, dove le proteste di una folla di 6mila agricoltori sono sfociate nella violenza. I contadini da giorni chiedevano la distribuzione di riso per alleviare la fame causata dalla siccità. Dopo una sassaiola dei manifestanti contro le forze dell’ordine (che ha ferito alcuni agenti), sono stati sentiti degli spari: “I manifestanti – afferma p. Giovanni Vettoretto, missionario del Pime a Kidapawan – bloccano da quattro giorni il traffico sulla statale che collega Davao a Cotabato e non ci sono molte strade alternative. Questo ha creato molta difficoltà”.
Secondo il sacerdote, le ragioni della protesta sono evidenti: “Sono quasi quattro mesi che non piove e la gente non ha denaro messo da parte per i tempi in cui non può né seminare né raccogliere. Le popolazioni tribali sono le più esposte: possono solo pregare che piova, nient’altro. La gente ha fame e chiede del riso”. Proteste così violente, afferma p. Vettoretto “non sarebbero accadute se non fossimo in piena campagna elettorale. La situazione ha creato un senso di impotenza e di disperazione nella popolazione, che viene sfruttato dai gruppi politici. I dimostranti, molti dei quali tribali, sono stati portati in città dalle foreste attorno. Ad essi si sono aggiunti molti che non sono della provincia e questo ha fatto salire la tensione”.
Il momento politico che stiamo vivendo, continua, “ha aumentato la smania dei gruppi che cercano più rappresentanza (i party list, che fra i membri contano anche ex militanti di gruppi paramilitari), che hanno gettato benzina sul fuoco manipolando la protesta. In ballo ci sono centinaia di poltrone, da quella di presidente alle amministrazioni cittadine”.
Il missionario è convinto che gran parte della responsabilità per l’emergenza sia da attribuire alla classe politica, che è stata immobile di fronte ad una siccità annunciata: “I comuni e i sotto comuni (barangay) non hanno risposto in tempo alle necessità della gente. Il popolo faceva pressioni già da gennaio. Noi qui in parrocchia abbiamo da mesi la fila di gente che chiede aiuto. Le autorità hanno lasciato andare le cose, sperando che si sistemassero. La situazione invece è peggiorata: il calore non ha bruciato solo piante e coltivazioni ma anche le case”.
Per risolvere questa empasse, suggerisce p. Vettoretto, “bisogna lavorare tutti insieme, tra politica, organizzazioni sociali ed ecclesiali (non solo cattoliche). I politici devono fare la loro parte, ammettendo le proprie responsabilità e senza arroccarsi in difesa per non perdere la faccia. La Chiesa in questo – conclude – può giocare un ruolo di mediazione: c’è già stato un incontro fra le parti nella diocesi, scelta come sede neutra”.
20/04/2016 12:20
23/04/2016 09:21