05/05/2008, 00.00
CINA – TIBET
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Colloqui sino-tibetani, usati per calmare il mondo e denigrare il Dalai Lama

Per i tibetani l’incontro fra il governo cinese ed i rappresentanti del leader buddista è servito soltanto a Pechino, che lo userà per tenere buona la comunità internazionale e “dimostrare” alla popolazione cinese che il Dalai Lama non mantiene le sue promesse di pace. Dubbi sugli inviati tibetani e sul governo in esilio a Dharamsala.
Roma (AsiaNews) – Senza alcun risultato, si sono chiusi nella serata di ieri i colloqui fra il governo cinese e gli inviati del Dalai Lama. Da Shenzhen, dove si è svolto l’incontro, le due parti in causa hanno confermato di non aver raggiunto alcun accordo, ma si sono detti “favorevoli a tenere nuovi colloqui, quando sarà il momento opportuno”.
 
I colloqui - dice ad AsiaNews Geshe Gedun Tharchin, lama tibetano residente a Roma - “sono stati utilizzati dalla propaganda comunista per raggiungere due scopi: calmare la comunità internazionale e dimostrare alla popolazione cinese che il leader buddista non mantiene la sua promessa di calmare la situazione in Tibet”.
 
Secondo il religioso, “i colloqui sono il frutto del lavoro diplomatico internazionale. In particolar modo è stato molto utile il presidente francese Sarkozy, che ha insistito per riaprire il canale di dialogo fra Pechino ed il Dalai Lama. Il problema è che i colloqui in sé non sono serviti a nulla, così come non sono serviti i precedenti. Sin dal 2002, ma si può andare indietro nel tempo fino a Mao Zedong, gli incontri fra le due parti non hanno raggiunto alcun risultato”.
 
I due inviati del leader buddista a questo ultimo incontro sono stati Lodi Gyaltsen Gyari (rappresentante tibetano presso gli Stati Uniti) e Kelsang Gyaltsen (rappresentante tibetano presso l’Unione europea). Molti tibetani in esilio si sono chiesti perché non sia stato inviato anche Kasur Gyalo Thondup, fratello del Dalai Lama che vive ad Hong Kong e che da anni gestisce i rapporti con Pechino.
 
Alcuni esuli esprimono ad AsiaNews i loro dubbi sulla scelta degli inviati, che “sembrano non voler fare dei reali passi in avanti nel dialogo con la Cina, come se lo status quo attuale andasse bene a tutti”. In effetti, durante i sei incontri ad alto livello che si sono svolti negli ultimi sei anni fra Pechino e Dharamsala non si sono mai raggiunti risultati di alcun tipo.
 
Un lama tibetano che vive in India scrive ad AsiaNews: “I cinesi ed i tibetani non potranno mai raggiungere un accordo, perché sono storicamente divisi da almeno otto secoli. Forse l’economia potrà cambiare la situazione dei tibetani, ma non influisce in alcun modo sulla nostra storia. Nel frattempo, però, tutti ignorano quei tibetani che da più di 50 anni vivono a Dharamsala ed in Nepal. Quale può essere il loro futuro, se il governo in esilio li vuole apolidi in attesa di un Tibet libero?”.
 
Allo stesso tempo, però, Pechino continua la campagna denigratoria nei confronti del leader buddista nonostante le richieste dei tibetani. Secondo un articolo pubblicato oggi sul governativo Tibet Daily, “dopo gli incidenti avvenuti in tutta la regione, il Dalai Lama non solo si rifiuta di ammettere i suoi crimini mostruosi, ma continua a portare avanti la sua frode nei confronti del governo centrale e della popolazione cinese”. Infatti, conclude il testo, “la guida dei tibetani e la sua cricca continuano a negare la realtà: il popolo tibetano è padrone della sua terra, gode di ampi diritti democratici e di una vasta crescita economica e ha libero accesso alla sua cultura ancestrale”.
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