04/09/2017, 15.15
CINA-ITALIA
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Cinesi in fuga in Italia per non rinunciare alla fede religiosa

Un'associazione studia il fenomeno crescente. Si convertono dopo aver scoperto “una tendenza spirituale prima ignorata” abbandonando il materialismo inculcato dal regime comunista. Solo pochi ottengono protezione internazionale. Per le commissioni, essi non corrono pericolo in Cina a discapito delle risapute violazioni dei diritti umani.

Roma (AsiaNews) – Negli ultimi cinque anni è quintuplicato il numero dei cinesi che fuggono “in maniera quasi indistinta” per motivi religiosi dal Paese. Essi abbandonano tutto per non rinunciare alla fede, abbracciata per sfuggire al materialismo imposto dal regime. A sottolinearlo è il rapporto pubblicato dall'associazione italiana “A Buon Diritto” (Abd), che da anni si occupa di dare sostegno legale a rifugiati e richiedenti asilo in Italia.

Secondo i Global Trends dell’Unhcr (l’Alto commissariato Onu per i rifugiati), il numero dei cinesi richiedenti asilo nel mondo è salito da 10.617 nel 2010 a 57.705 nel 2015.

I richiedenti asilo seguiti da Abd sono membri di 14 movimenti “pseudo-cristiani” messi al bando dal governo, la maggior parte dei quali legati al culto “Almighty God”. La setta fa parte dei culti considerati “malvagi” da Pechino, i cui membri sono accusati dal governo di essere violenti e sovversivi. Nel 2015, due di essi sono stati giustiziati per l’omicidio di una donna. In seguito all’incidente, centinaia di fedeli sono stati arrestati. Assieme a sette e comunità religiose, la Cina porta avanti anche una campagna contro le comunità sotterranee e i “culti malvagi”.

Nel rapporto si afferma che i cinesi continuano l’attività religiosa in Italia. Essi si confrontano di rado sulle proprie esperienze passate con i connazionali per timore di avere a che fare con spie, tanto da richiedere “traduttori rigorosamente di nazionalità non cinese”.

Le storie raccolte dall'associazione sono dolorose. Maria (nome scelto dalla signora all’arrivo in Italia) ha raccontato di essere stata catturata in Cina mentre evangelizzava e di essere stata portata in caserma, dove è stata “ustionata con acqua bollente” e le è stato “inciso il dorso delle mani con delle lame”. Invece, G. è “stato picchiato sulla schiena con un bastone in modo così violento da essere svenuto per il dolore… perché si rifiutava di rispondere alle domande riguardanti i responsabili e i fondi della Chiesa domestica”. Non potendo presentarsi a un ospedale per le cure G. si è ritrovato con una disfunzione del 25% al rene sinistro.

Intervistato da AsiaNews, uno degli autori del rapporto e operatore legale di Abd, Francesco Portoghese racconta che ad accomunare i richiedenti asilo c’è “l’assoluta fedeltà al credo che viene professato”, a prescindere dalle differenze nei motivi e modalità della conversione.

“Alcuni di loro hanno abbandonato le loro famiglie pur di professare liberamente la loro religione, anche a costo di rinunciare alla compagnia di partner e figli”, afferma Portoghese. “Altri hanno rinunciato alle proprie carriere e alla possibilità di terminare gli studi”. Per l’operatore questo dimostra “uno spirito di abnegazione quasi di altri tempi”.

Nel rapporto, Abd racconta che i richiedenti asilo sono passati “da una concezione materialista della realtà, quale quella che caratterizza il regime cinese”, a “una tendenza spirituale prima ignorata. Ed è proprio la tenacia con cui si persegue la ‘nuova strada’ ad allarmare il governo”.

Per Portoghese, c’è “anche una dignità e una discrezionalità che si può comprendere solo approfondendo ogni situazione individuale. È fondamentale andare in profondità nelle loro storie per poterle comprendere, perché non sempre a domanda precisa corrisponde una risposta precisa e accettabile in sede di commissione”.

Pur essendo folto il numero di cinesi richiedenti asilo, rimangono pochi quelli a cui viene riconosciuto lo status di rifugiato. L’European asylum support office (Easo) riporta che “la nazionalità cinese è una di quelle con il più basso tasso di riconoscimento”.  

Portoghese riferisce che nel 2016 solo il 5% delle domande d’asilo ha ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato. Ovvero, 13 risposte positive contro 264 negative.

Per l’operatore le motivazioni di questi rifiuti sono varie, fra cui la stessa novità del fenomeno, che non aveva mai raggiunto numeri rilevanti prima: “È necessario che si formi un orientamento compiuto sul fenomeno, ancora da investigare in profondità”.

Fra le cause elencate da Abd per i rifiuti vi sono le “dichiarazioni incomplete o contraddittorie, la scarsa conoscenza dei culti che si afferma di praticare e i dubbi sulla fuga dal Paese”. Per verificare l’elegibilità all’asilo i fuggitivi cinesi devono sottomettersi a un colloquio ufficiale. Nel rapporto Abd contesta l’utilizzo di una traduzione “stringata e che a tratti appare approssimativa e superficiale”, in cui alcune dichiarazioni dei richiedenti vengono travisate, riportate in maniera incompleta e talvolta neanche registrate.

Per l'associazione è sorprendente che non venga presa in considerazione neanche la protezione sussidiaria [tutela riconosciuta a quanti non rientrano nei parametri per l’asilo, ma sono comunque in pericolo di ‘danno grave’, ndr], “nonostante in Cina sia prevista e applicata in via del tutto arbitraria la pena di morte, e dopo che le torture e i trattamenti inumani e degradanti… siano talvolta stati inflitti anche agli arrestati per motivi religiosi”.

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