11/12/2007, 00.00
CINA - STATI UNITI
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Cina e Stati Uniti cercano più cooperazione commerciale; a Pechino cresce l’inflazione

A novembre inflazione record: non si fermano i prezzi degli alimenti. Intanto negli Usa si prospetta lo spettro della recessione. Esperti: nel terzo round degli “incontri economici strategici” tra i due Paesi, che inizia domani, entrambi vogliono risultati concreti per tranquillizzare le rispettive Nazioni.

Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Per risolvere i rispettivi problemi economici, Washington e Pechino debbono “lavorare insieme, per combattere il protezionismo” e promuovere il libero commercio. Carlos Gutierrez, Segretario Usa al Commercio, lancia l’idea alla vigilia del terzo dialogo economico strategico tra i due Paesi, che inizia domani a Pechino. Esperti osservano che i due governi si presentano con gravi problemi interni: gli Stati Uniti temono una grave recessione nel 2008 mentre Pechino registra a novembre un’inflazione del 6,9%, il massimo da 11 anni.

Anche Michael Levitt, Segretario Usa alla Sanità, nel firmare oggi a Pechino due accordi sulla sicurezza di alimenti e medicine ha parlato di  questo lavoro comune come una nuova modalità di dialogo “che riflette le esigenze di un maturo mercato globale”.

Per gli Stati Uniti sono centrali la rivalutazione dello yuan e la riduzione del deficit commerciale con Pechino - che si prevede superi i 232,5 miliardi di dollari del 2006 - come ha ricordato una settimana fa il Segretario al Tesoro Henry Paulson. Ma ancora ieri Chen Deming, viceministro cinese al Commercio, ha ripetuto che un’eccessiva attenzione sullo yuan potrebbe “ostacolare il normale sviluppo” dei rapporti commerciali tra i due Stati. Dopo gli scarsi risultati dei primi 2 incontri economici, Washington vuole valorizzare l’importanza del dialogo tra le due maggiori economie mondiali e teme la crescita di idee protezioniste: al Congresso Usa sono in discussione oltre 10 leggi contro i prodotti cinesi. Mentre per Pechino questi incontri sono il primo banco di prova per molti nuovi leader emersi a ottobre dal 17mo Congresso del Partito comunista, come il ministro al Commercio Bo Xilai e il nuovo membro del Politburo Li Keqiang (che potrebbe sostituire il vicepremier Huang Ju, morto a giugno).

Shi Yinhong, direttore del Centro di studi americani all’università Renmin di Pechino, ritiene che “le due parti vogliono evitare che peggiorino gli attuali contrasti, così si concentreranno su questioni secondarie come la sicurezza dei prodotti, invece che sui problemi cardine quali la rivalutazione dello yuan e le barriere al commercio”. Tra le questioni “minori” in discussione ci sono la collaborazione per energia, ambiente, sicurezza di cibi e prodotti, l’accesso dei servizi finanziari e di telecomunicazione delle ditte Usa in Cina e la tutela della proprietà intellettuale.

Lu Xiaobo, direttore dell’istituto di Studi orientali della Columbia University, spiega al South China Morning Post che “rispetto ai precedenti incontri, ora entrambe le economie affrontano problemi e gravi incertezze”. Se per Washington c'è il pericolo di una recessione, per Pechino il problema è l'inflazione galoppante che rischia di fomentare rivolte sociali o di far perdere competitività al Paese.

La Cina non riesce a frenare un’inflazione in rapido aumento e che colpisce soprattutto i prezzi dei generi alimentari, che sono oltre un terzo del paniere dei prezzi considerati. Secondo dati ufficiali, il costo del riso, alimento essenziale specie per le famiglie povere, è cresciuto del 18,2% a novembre. Materie prime, carburante ed energia sono aumentati del 6,3% (+22,6% il petrolio greggio). I prodotti non alimentari sono cresciuti appena dell’1,4% (comunque il maggior aumento del 2007).

La Banca centrale di Cina già l’8 dicembre ha disposto un aumento dei depositi obbligatori per le banche e potrebbe aumentare i tassi di interesse per i finanziamenti, per ridurre la liquidità monetaria. Ma simili misure sono state spesso adottate nel 2007, senza arrestare l’inflazione. Sempre più esperti ritengono che una rivalutazione dello yuan potrebbe contenere l’inflazione, diminuendo le esportazioni (quindi, la quantità di denaro liquido) e favorendo le importazioni (rendendo più convenienti i prezzi dei prodotti esteri). Facendo i tal modo la Cina rischia di perdere posti di lavoro per la sua popolazione, creando e premesse per l'instabilità sociale. Un'altra possibilità è che aumentino i salari, ma così facendo essa rischia di perdere competitività rispetto agli altri Paesi dell'area. Già diverse compagnie straniere hanno trasferito i loro investimenti dalla Cina all'Indonesia o al Vietnam. (PB)

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