17/05/2007, 00.00
CINA - AFRICA
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Cina e Africa: sviluppo comune, ma senza neo-colonialismo

Per la prima volta Pechino si preoccupa delle crisi africane e del genocidio del Darfur, ma rimane interessata anzitutto ai rapporto commerciali. Gli Stati africani vogliono aumentare i rapporti commerciali con Cina e Asia ma senza essere sfruttati.

Shanghai (AsiaNews/Agenzie) – La Cina vuole accrescere i rapporti economici con l’Africa e ritiene di risolvere crisi come il Darfur “nel lungo periodo”. I Paesi africani, da parte loro, non rinunciano alla collaborazione con Pechino, anche se vogliono evitare un “colonialismo economico”. E’ quanto emerge dell’incontro di due giorni dell’African Development Bank a Shanghai.

Il premier Wen Jiabao, aprendo ieri i lavori, ha ricordato che per l’Africa “è indispensabile il sostegno e l’assistenza internazionale” e ha rivendicato i “crediti” di Pechino, come avere cancellato miliardi di yuan di debiti dei Paesi africani. Ha insistito che la collaborazione economica contribuisce anche alla pace. Non ha parlato di Sudan e Zimbabwe, Paesi boicottati dalla comunità internazionale con i quali Pechino ha invece stretti rapporti.

Ma Li Ruogu, presidente della statale Export-Import Bank of China che partecipa alla gran parte degli aiuti finanziari per l’estero, ha detto ieri che la crescita economica del Sudan, grazie ai rapporti commerciali e agli investimenti esteri, “nel lungo periodo faciliterà la soluzione della questione Darfur”. Finora Pechino aveva sempre definito il genocidio del Darfur una “questione interna di uno Stato sovrano”.

Zhou Xiaochun, governatore della centrale Banca di Cina, si è detto “convinto che una maggiore collaborazione Asia-Africa contribuirà alla riduzione del debito estero e della povertà dell’Africa”.

Molti Stati presenti hanno confermato il reciproco interesse. La Cina – dice Marc Ravalomanana, presidente malgascio – “è un esempio. In Africa dobbiamo imparare dai suoi risultati”.

Ma Amos Kimunya, ministro keniota delle Finanze, osserva che i Paesi asiatici hanno bisogno di risorse per crescere e si chiede se Pechino sia “una benedizione o una minaccia per l’Africa”.

Paul Toungui, ministro di Stato del Gabon (Paese ricco di petrolio, minerali e foreste), dice che occorrono leggi per proteggere l’ambiente e che lo sfruttamento delle risorse deve avere come corrispettivo il trasferimento di conoscenze. Toungui critica le ditte estere che portano dall’estero persino i materiali (come spesso fa la Cina), invece di favorirne la produzione locale.

La Cina ha grandi interessi nel Sudan: da esso compra il 5% del petrolio che importa pari a 600mila barili al giorno, possiede giacimenti, oleodotti e raffinerie, impiegando in loco oltre 10mila cinesi. Ha sempre posto il veto presso le Nazioni Unite alle sanzioni proposte contro Khartoum per fermare il genocidio nel Darfur (450mila persone morte dal 2003, circa 2,5 milioni di sfollati). Ma le critiche crescono: a maggio Amnesty International ha accusato Cina e Russia di vendere al Sudan armi ed aerei impiegati per massacrare la popolazione, mentre attivisti per i diritti umani propongono di boicottare i Giochi Olimpici di Pechino (che chiamano “Genocidi Olimpici”). Pechino ora si preoccupa di queste critiche: a ottobre ha approvato l’invio di una più numerosa forza di pace Onu, ha offerto 10 milioni di dollari di aiuti umanitari per il Darfur, a maggio ha annunciato l’invio di 275 ingegneri militari nella zona.  

I critici osservano che in realtà Pechino sfrutta le materie prime dei Paesi africani, ha rapporti con governi corrotti che usano i finanziamenti ricevuti a proprio vantaggio, contrasta l’influenza degli Stati Uniti e isola Taiwan, che ha ancora relazioni diplomatiche con alcuni Stati africani. Il 15 maggio a Ginevra Gao Qiang, ministro cinese della Sanità, subito dopo che l’Organizzazione mondiale della Sanità ha respinto la richiesta di Taipei di esserne membro con il nome di Taiwan, ha annunciato una donazione di 8 milioni di dollari all’Oms per combattere le malattie in Africa. In risposta all’accusa che Pechino non si cura se dei prestiti beneficino governi corrotti, ieri Wen ha detto che si chiederà “migliore trasparenza” per accertare l’effettivo utilizzo dei finanziamenti.

Intanto la Cina progetta la diga Merowe in Sudan per quale – accusano gruppi per la tutela dei diritti – 70mila persone saranno spostate dalle abitazioni nella fertile Valle del Nilo al deserto Nubiano. (PB)

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