11/09/2013, 00.00
CINA
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Cina, denuncia la corruzione: prima la costringono ad abortire e poi l'arrestano

Li Fengfei ha subito un aborto forzato alla 18ma settimana nella città di Bijie: il figlio è morto e lei è stata in pericolo di vita per circa un mese. Appena uscita dall'ospedale è stata fermata dalla Pubblica sicurezza. Un avvocato cristiano ne assume la difesa e denuncia: "Tutto nasce dopo che lei non ha voluto aiutare il suo capo a rubare soldi allo Stato".

Bijie (AsiaNews) - Le autorità di Pubblica sicurezza della provincia del Guizhou hanno arrestato Li Fengfei, la donna che ha denunciato l'aborto forzato cui è stata costretta e che l'ha ridotta in fin di vita, con l'accusa di "frode e appropriazione indebita". Li Guisheng, avvocato cristiano e capo dello Studio legale Guiyang Hengquan, ha annunciato di essere pronto a difenderla in tribunale. La storia di Li, già riportata da AsiaNews, è confermata dalla Ong ChinaAid.

L'arresto è stato comunicato proprio dallo Studio legale, che lo scorso 5 settembre su Weibo - popolarissimo sito di microblogging cinese - ha scritto: "Abbiamo accettato la difesa di Li Fengfei e siamo pronti a fornirle tutto l'aiuto che le serve. Ieri l'abbiamo incontrata nel carcere di Jinsha e abbiamo parlato del suo bambino. Lei si sente triste e arrabbiata, prova molto dolore e piange".

Secondo i legali, l'aborto forzato e l'arresto di Li - che viene da una famiglia di contadini di etnia Hmong ed è già madre di un bambino - sono una vendetta delle autorità dopo che la donna ha rifiutato di prendere parte a una truffa ai danni dello Stato. Li era infatti contabile in una delle banche municipali di Bijie: il suo capo, parente di diversi funzionari comunali, le aveva chiesto di falsificare alcuni documenti per appropriarsi di denaro non suo, ma lei aveva rifiutato. E questo, dicono gli avvocati, "è il vero motivo e l'origine dei problemi di Li".

La legge sul figlio unico continua dunque ad essere strumento non solo di repressione e di violazione ai diritti umani della popolazione cinese, ma si conferma come metodo per alimentare la corruzione e la malversazione nel Partito e nel governo del Paese. Secondo la denuncia di un avvocato dissidente, nel solo 2012 le multe comminate per le violazioni a questa legge hanno fruttato circa 2 miliardi di euro di cui, però, si sono perse le tracce.

 

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