14/05/2015, 00.00
CARITAS-UZBEKISTAN
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Caritas Uzbekistan: “Aiutiamo i giovani e i poveri. Anche se il governo ci frena”

Il governo uzbeko non vuole riconoscere legalmente la Caritas e ostacola il suo operato. P. Francis Stopkowic, direttore esecutivo: “Di tutti quelli che aiutiamo quasi nessuno è cristiano. Anche se pochi si battezzano non me ne vado da qua. Qualcuno ha bisogno di me”.

Roma (AsiaNews) – La vita della Caritas in Uzbekistan non è facile, visti  “i rigidi controlli cui siamo sottoposti da parte del governo. Ogni nostra azione viene controllata ma allo stesso tempo ci impediscono di registrarci legalmente per ostacolare il nostro operato”. Lo racconta ad AsiaNews p. Francis Stopkowic, direttore esecutivo di Caritas Uzbekistan, a Roma per l’Assemblea generale dell’organizzazione.

“Più volte negli ultimi 10 anni – dice p. Francis – abbiamo preparato tutte le pratiche perché la Caritas fosse messa in regola. Moltissimi documenti, tutti tradotti in lingua uzbeka. Non ci siamo mai riusciti perché il governo cambia continuamente regole e ci impedisce di registrarci. Non possiamo fare nulla”.

La politica del governo uzbeko è avversa alle religioni, ci racconta il sacerdote, non solo quella cristiana ma anche quella musulmana. Pur non potendo agire in modo diretto come Caritas, la comunità cristiana ha trovato altri modi per aiutare la popolazione in difficolta. “Possiamo agire nelle parrocchie – racconta p. Francis – perché le parrocchie sono in regola. Negli anni scorsi, a Taškent, abbiamo organizzato corsi rivolti ai giovani per insegnare l’uso del computer e a suonare strumenti musicali”.

In Uzbekistan circa un quinto della popolazione (più di 5 milioni di persone) vive con meno di un dollaro al giorno e il 70% della popolazione soffre una terribile povertà rurale. Ecco perché le suore di Madre Teresa, sempre a Taškent, “aiutano economicamente le famiglie povere. Anche se loro sono registrate come opera sociale – dice ad AsiaNews p. Francis – un giorno dei poliziotti si sono presentati dicendo che dovevano togliersi i simboli e gli abiti religiosi. Non erano registrate come organizzazione religiosa e quindi non era permesso mostrarli”. “Le suore hanno chiesto che il governo lo mettesse per iscritto e i poliziotti se ne sono andati. Il giorno dopo però – racconta il sacerdote – le suore hanno scoperto che il loro conto in banca era stato bloccato”.

Nella parrocchia di p. Francis, San Giovanni Battista a Samarcanda, qualche iniziativa è stata fatta con l’aiuto del Catholic Relief Service (Crs): “I nostri progetti educativi hanno attirato l’attenzione dei bambini del vicinato, che hanno iniziato a frequentare la chiesa invece che andare a zonzo per strada. Nessuno di essi è cristiano – precisa il sacerdote – , la maggior parte sono musulmani che non si convertono”. “Molto spesso mi hanno accusato di proselitismo, ma non è vero. Non faccio iniziative per convertire la gente, io aiuto chiunque ne ha bisogno”.

Sempre a Samarcanda, un progetto della Caritas Antoniana porta cibo e medicinali ogni martedì a 150 persone molto povere della città e ai malati: “I vicini di queste persone si sono però insospettiti – dice p. Francis –, hanno chiamato la polizia  e volevano sapere da dove venivano i soldi. I controlli sono molto rigidi e i soldi che arrivano dall’estero non possiamo prelevarli per avere contanti”.

La comunità cattolica uzbeka è composta da circa 3500 fedeli. “Di tutte le persone che aiutiamo – racconta il sacerdote – quasi nessuna è cristiana o chiede il battesimo. Io sono in questa parrocchia da 15 anni e ho battezzato circa 10 persone. Molti mi chiedono perché non me ne vada da qui. Io rispondo che, anche se pochi, qualcuno che ha bisogno di me per l’assistenza spirituale c’è sempre. Anche se fosse solo uno non me ne andrei”. 

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