23/03/2006, 00.00
FILIPPINE - VATICANO
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Card. Rosales: l'Asia ha bisogno di una "nuova espressione" per l'evangelizzazione

di Marta Allevato
Intervista all'arcivescovo di Manila, che domani Benedetto XVI creerà cardinale. L'impegno per la pastorale dei poveri, la missione e l'evangelizzazione dell'Asia. "È questo continente  la culla delle religioni e la capitale dello sviluppo economico". La continuità di Benedetto XVI con Giovanni Paolo II.

Roma (AsiaNews) - Lotta alla povertà, vocazione alla missione e impegno nel ricercare una "nuova espressione" per l'evangelizzazione dell'Asia. Con questi obiettivi da domani, 24 marzo, l'arcivescovo di Manila, mons. Gaudenzio Rosales, entrerà a far parte del Collegio cardinalizio. Sarà uno dei 15 nuovi cardinali ai quali Benedetto XVI conferirà la porpora nel suo primo concistoro. In un'intervista ad AsiaNews da Roma, dove è arrivato lo scorso 18 marzo, il card. Rosales parla di come affronterà il nuovo incarico, della particolare attenzione del Papa per l'Asia, dei valori e dei problemi del suo popolo, quello filippino, che lotta contro povertà e corruzione politica. 

Eminenza, quale significato attribuisce alla scelta di Benedetto XVI di nominare insieme a Lei altri due cardinali asiatici? Mi riferisco al card. Zen, arcivescovo di Hong Kong e al card. Cheong, di Seoul. 

Prima di tutto vi è un significato di carattere pratico: le tre arcidiocesi sono tutte sedi cardinalizie e per di più da diverso tempo vacanti. Ma non si tratta solo di questo ovviamente. L'Asia è un continente molto importante: è la culla delle principali religioni, religioni millenarie, incluso il cristianesimo; allo stesso tempo si può dire sia la "capitale" dello sviluppo economico: basti pensare alla crescita di Paesi come Giappone, Corea del Sud, Hong Kong, Taiwan e Singapore. Senza dimenticare i due giganti economici: Cina e India.
Benedetto XVI vuole approfondire ciò che Giovanni Paolo II aveva annunciato quando diceva: "L'Asia: ecco il nostro comune compito per il terzo millennio" (Alzatevi, andiamo!). È l'Asia l'obiettivo e lo strumento per l'evangelizzazione nel nostro tempo. In questo c'è completa continuità con il pontificato precedente.

Come pensa dovrebbe procedere la Chiesa verso questo fine?

Per la Chiesa in Asia l'evangelizzazione è la sfida principale. Ma l'evangelizzazione deve avere una nuova espressione, che si adatti alle necessità di questo continente pur mantenendo lo stesso messaggio: la parola di Cristo. Penso che si dovrebbe seguire il cammino della cosiddetta "evangelizzazione integrale" indicato da Paolo VI, attenta ai problemi dell'uomo e all'inculturazione della fede con l'obiettivo di liberare uomo e donna dalla schiavitù: quella del vizio, del peccato, della corruzione. E questo è particolarmente evidente e necessario nelle Filippine.

Quale può essere il contributo del suo Paese all'evangelizzazione?

Le Filippine, unico Paese asiatico a maggioranza cattolica insieme a Timor est, hanno una vera e propria vocazione alla missione. Da qui partono migliaia di uomini e donne per le missioni in tutto il mondo; attraverso varie organizzazioni, come laici, o congregazioni, come religiosi, e servono in numerose diocesi.
Ma ancora di più sono le persone che partono per ragioni economiche: siamo un popolo di migranti, la gente parte per trovare lavoro in industrie, fabbriche o come domestici. In questo modo offrono prima di tutto un contributo economico ai Paesi in cui si stabiliscono, che si aggiunge però al contributo della fede. Con la loro devozione, il loro amore per la religione, la preghiera, sono esempio di vita cristiana nelle comunità in cui vivono all'estero. Io li chiamo "missionari informali", indiretti, cioè portano la testimonianza cristiana direttamente nelle case e nelle fabbriche dove lavorano.

Le Filippine oggi affrontano un momento di grande difficoltà e incertezza politica. Come continua la missione della Chiesa all'interno del Paese?

Il Paese è molto politicizzato e la corruzione permea ogni poro della società. Non esiste un partito che si possa dire "pulito", onesto. Molti vescovi si battono contro corruzione, prostituzione, gioco d'azzardo e uno sconsiderato sfruttamento del territorio; compito della Chiesa è continuare a denunciare le ingiustizie. Ma al di là della politica, il problema più grande da affrontare rimane la povertà.
Nelle Filippine i ricchi sono le grandi corporazioni, le grandi famiglie, ma la maggior parte della gente chiede e ha bisogno solo di case e cibo.
Per la prima volta nella storia del Paese si può parlare di un  62% della popolazione povera. Penso che la lotta alla povertà sia anche nelle intenzioni del Papa e la sua enciclica Deus Caritas est ne è segno. L'intento è quello di fare in modo che non esista povertà disumana, senza dignità. Questo è l'obiettivo su cui dobbiamo concentrarci e anche da cardinale continuerò a sentirmi sempre pastore dei poveri.

Il sud del suo Paese è anche roccaforte dell'estremismo islamico e di violenze contro i cristiani. Che possibilità per il dialogo interreligioso?

La Conferenza episcopale filippina ha indetto la Giornata nazionale della Gioventù di quest'anno proprio a Mindanao, nel sud, per dare un segno di apertura e speranza. Nelle zone meridionali delle Filippine esistono difficoltà storiche nelle relazioni tra cristiani e musulmani; le ragioni sono di carattere culturale (ogni comunità ha la sua scala di valori, differenti stili di vita, modelli di sviluppo, educazione) e politico. Troppo spesso queste tensioni sfociano poi in violenze soprattutto laddove si innesta anche il terrorismo islamico. È necessario allora instaurare una fiducia reciproca. La Chiesa vuole camminare verso il dialogo tra le due comunità, questo significa avviare uno scambio di idee, religiose e culturali, instaurare un "dialogo di presenze" e di vita, collaborando nel quotidiano, ad esempio nell'aiuto tra poveri, nel condividere speranze. Esiste già una conferenza di vescovi e imam per il dialogo a Mindanao volta a costruire fiducia e rispetto reciproci e funziona.

 

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