Card. Bo: poligamia e conversione, “leggi nere” che minacciano il futuro del Myanmar
Yangon (AsiaNews) - Le norme che regolano poligamia e conversioni, volute con forza dalla frangia estremista buddista birmana per colpire la minoranza musulmana (e non solo), sono una minaccia e distruggono la speranza di un Myanmar unito, democratico e moderno. È quanto sottolinea il card. Charles Bo, arcivescovo di Yangon, in un messaggio al popolo e ai governanti del Myanmar, in un momento chiave del Paese a meno di due mesi dalle elezioni generali.
Ad agosto, spiega il porporato nell’appello inviato ad AsiaNews, “mentre migliaia di uomini e donne lottavano contro alluvioni dalla portata storica”, il Parlamento dietro pressione di una élite religiosa ha approvato (e il presidente Thein Sein ha firmato) quattro “leggi nere”. Norme, aggiunge, che “non sono state concepite dai rappresentanti eletti dal popolo del Myanmar” ma da una “frangia extraparlamentare” che fomenta odio, divisione e rappresenta un pericolo per la democrazia. Simili sforzi in altre parti del mondo, come avviene in Pakistan con le leggi sulla blasfemia, hanno avuto “conseguenze disastrose” per la gente.
In questi ultimi giorni i vertici politici e istituzionali del Myanmar hanno preso una serie di decisioni che, secondo attivisti ed esperti, colpiscono i diritti e le tradizioni della minoranza musulmana (il 5% del totale). Oltre alla bocciatura di candidati, vi è la promulgazione di una serie di norme - l’ultima di questi giorni, che proibisce la poligamia - volute con forza dalla frangia estremista buddista che ha lanciato da tempo una campagna contro i fedeli dell’islam nel Paese.
La norma è una delle quattro leggi promosse negli ultimi mesi dal Comitato per la protezione della nazionalità e della religione (Ma Ba Tha, un gruppo buddista), contenute all’interno del pacchetto “Leggi a difesa della razza e della religione”. In precedenza avevano ottenuto il via libera la norma sulle conversioni, che prevede una “approvazione” delle autorità per cambiare religione. Il governo birmano nega che le norme siano state scritte ad hoc per la comunità musulmana, che rappresenta il 5% circa del totale in Myanmar.
Intervenendo sulla controversia, il card Bo sottolinea parla di una nazione “ancora una volta” a un “crocevia, divisa fra speranza e disperazione”, dopo aver vissuto oltre “cinquant’anni di oppressione politica”. “Il Myanmar - afferma il porporato - non può dirigersi di nuovo una volta verso il cammino del conflitto permanente. Cinquant’anni di agonia bastano. Abbiamo bisogno di pace. Abbiamo bisogno di riconciliazione. Abbiamo bisogno di una identità condivisa e di cui fidarsi, in quanto cittadini di una nazione che nutre speranza”.
Secondo l’arcivescovo di Yangon queste nuove leggi “sembrano aver suonato la campana a morto” di queste speranze di cambiamento, di rinascita, di unità e di democrazia. Per questo in un momento di “sfida” egli esorta la popolazione a “stare in guardia contro questi elementi” il cui compito sembra quello di “istituzionalizzare le ideologie estremiste”. Il futuro è racchiuso, avverte, “nell’unità nella diversità”, perché “uniti vinciamo”, mentre le divisioni sono fonte di un “futuro sinistro”.
Egli richiama gli insegnamenti centenari di Buddha e del buddismo che promuovono pace, misericordia, compassione, all’interno dei quali “non vi è spazio per l’odio”. “Ogni sforzo volto a distorcere l’immagine incontaminata del buddismo e il suo messaggio di amore universale - afferma il card Bo - vanno combattuti da ciascun abitante della nostra nazione. Le narrazioni di odio in nome della religione sono un’offesa agli insegnamenti del Grande Maestro”. Queste quattro leggi, ribadisce il porporato, “sono il risultato di quest’odio profondo” e per questo il legislatore “deve rivederle” per scongiurare il pericolo “di altri decenni di conflitto a venire”.
Infine, il card. Bo individua la vera sfida cui il Paese, i suoi abitanti, i leader religiosi e la classe politica devono dare una risposta concreta. Il pericolo più grande, avverte, non sono le conversioni religiose ma “la povertà… che è la religione comune della maggioranza delle persone. Il 30% della nostra gente vive in condizioni di povertà - ricorda - un dato che negli Stati Rakhine [dove vivono i Rohingya] e Chin raggiunge punte del 70%”. “Come nazione - conclude il presule - è necessaria una vera conversione per questo 30% della popolazione costretta a subire una religione oppressiva chiamata povertà”.
12/06/2021 12:38
13/05/2022 11:30