22/01/2016, 15.27
INDIA – FILIPPINE
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Arcivescovo di Guwahati: In Asia la religione non muore, i fedeli prendono forza dall’Eucaristia

Mons. Menamparampil è tra i relatori del Congresso Eucaristico Internazionale di Cebu, nelle Filippine. Egli è stato anche mediatore di conflitti tra vari gruppi etnici. Ad AsiaNews parla del valore del Congresso per la Chiesa cattolica dell’Asia e di come si può testimoniare oggi il Vangelo, anche in mezzo alle tensioni e alle violenze di “chi ci odia”. “Dalle sofferenze nei nostri cuori proviene la nostra profondità durante l’adorazione eucaristica”.

Mumbai (AsiaNews) – In Asia “i raduni di preghiera attirano folle più numerose degli eventi sportivi o delle forme di intrattenimento di qualsiasi tipo. Questa è la risposta migliore ai militanti atei che continuano a sostenere che la religione sta scomparendo. Durante le preghiere di massa il ricco e il povero diventano uguali”. Lo dice mons. Thomas Menamparampil, arcivescovo di Guwahati e amministratore apostolico di Jowai in India, a proposito del 51mo Congresso Eucaristico Internazionale di Cebu. Secondo mons. Menamparampil, che è stato anche mediatore nei conflitti tra vari gruppi etnici, quello che gli asiatici apprezzano di più della religione è “il culto silenzioso” e in questo senso “l’adorazione eucaristica ispira un senso di mistero”.

Per essere i migliori testimoni del Vangelo in Asia, dice l’arcivescovo, “dobbiamo provare a entrare nella condizione psicologica di Gesù che si sentiva abbandonato in punto di morte, in modo da poter comprendere l’agonia interiore di quelli che si sentono abbandonati dalla società, perfino dalle loro famiglie e dai parenti in certi ambienti pieni di dolore. Il pianto del povero è il pianto di Gesù sulla croce”.

Il valore del dialogo tra le religioni, che non vuol dire sedersi insieme per prendere “una tazza di the”, ma “è relazione continua, educazione reciproca, cooperazione stimolante”. L’inculturazione cristiana “non deve diventare un’operazione artificiale di cosmetica, ma essa è il tocco vivificante di Cristo”. Ecco di seguito l’intervista di mons. Menamparampil ad AsiaNews:

Eccellenza, qual è il significato del Congresso Eucaristico Internazionale per la Chiesa in Asia?

Quello che gli asiatici apprezzano di più della religione è il culto silenzioso. L’adorazione eucaristica ha per loro un profondo significato in quanto ispira un senso di mistero. Nel loro modo di comprendere, essa rappresenta l’intensità. Le cerimonie esteriori e la solennità sono molto meno importanti nella loro percezione. Quello che conta davvero è scavare al di là del significato di quei rituali.

Per i fedeli asiatici, tutto quello che fanno trae forza e motivazione dal loro rapporto con il Signore. Il Mahatma Gandhi ha iniziato la parte più seria della sua carriera politica in un ashram [luogo di ritiro e meditazione secondo la tradizione indiana, ndr], e recitava preghiera in modo abitudinario. Quando egli insegnava la visione della non-violenza da un contesto di preghiera, faceva appello alla nazione. Una volta affinati gli strumenti della non-violenza, egli ha potuto andare avanti con maggior fiducia nella sua lotta per l’indipedenza del Paese [l’India].

In che modo possiamo testimoniare oggi il Vangelo in Asia?

Credo che il miglior modo per essere testimoni del Vangelo in Asia sia unirsi insieme alle società locali per affrontare i problemi della nostra epoca. Papa Francesco dice: “Noi evangelizziamo quando tentiamo di confrontarci con le varie sfide che sorgono” (EG 61).

Il compito principale per i cristiani è dedicarsi ai bisogni dell’uomo con un senso di dedizione. “Date qualcosa da mangiare a loro”, diceva Gesù ai suoi discepoli che volevano ritrarsi di fronte a un bisogno umano reale. Non voglio limitare solo a cibo, acqua, medicine e coperte il modo con cui possiamo dedicarci ai bisogni dei poveri. Dobbiamo incoraggiare il dialogo e l’amicizia che dà sostegno, la saggezza applicata al contesto e una visione per il futuro, riaffermando la clemenza e i sogni che le persone considerano impossibili.

Il sospiro degli indifesi è strettamente collegato agli insistenti “lamenti e lacrime” (Heb 5:7) di Gesù nel Getsemani. Dobbiamo essere in grado di rimanere vicino a lui nella sua agonia, nel tormento dei poveri delle baraccopoli, dei gruppo etnici emarginati, dei dalit sfruttati e nelle incertezze dei giovani confusi.

Dobbiamo provare a entrare nella condizione psicologica di Gesù che si sentiva abbandonato in punto di morte, in modo da poter comprendere l’agonia interiore di quelli che si sentono abbandonati dalla società, perfino dalle loro famiglie e dai parenti in certi ambienti pieni di dolore. Il pianto del povero è il pianto di Gesù sulla croce.

Oggi i migliori evangelizzatori sono coloro che hanno sviluppato la capacità di costruire ponti tra gli individui e le comunità, e non coloro che pongono estrema fiducia sul loro messaggio e i loro metodi o coloro che parlano per una presunta superiorità morale o sono specializzati nel criticare gli altri.

I migliori missionari sono coloro che sanno come relazionarsi con intelligenza con culture, comunità, tradizioni e identità collettive. Sono coloro che sanno affrontare con attenzione, rispetto e sensibilità individui offesi, gruppi etnici chiusi, società indignate, radicali rancorosi.

I migliori evangelizzatori sono coloro che accettano i problemi più stringenti dei nostri giorni e li considerano come punto di inizio per condividere un messaggio rilevante, suggerire delle soluzioni realistiche, sostenere la speranza quando le soluzioni dell’uomo falliscono. Lì hanno la possibilità di andare oltre!

Cosa può dirci sul dialogo tra le religioni?

Il problema è che sembra che limitiamo il dialogo a semplice esercizio accademico. Quanti incontri per il dialogo finiscono come un rituale, concludendosi con una tazza di the! Ma se il dialogo è tra i problemi più urgenti della società in un dato momento, è perché tratta di vita. Ognuno trae forza dalla propria fonte di ispirazione, ma il suo valore è ponderato in base alla sua rilevanza per l’ansia che condivide. Le parole di una persona acquistano potere persuasivo in proporzione alla loro applicabilità al contesto.

Anche le proposte migliori possono essere respinte, ma rimane il senso di quello che è giusto, e si può ottenere maggiore rispettabilità quando la situazione rende evidente la sua adeguatezza.

Ma questo è solo un aspetto del dialogo. Infatti il dialogo è una relazione continua, è educazione reciproca, una cooperazione stimolante. È qualcosa di simile al creare un senso di co-appartenenza. In questo periodo di esclusione reciproca, ostilità gentile e anche odio assoluto tra le comunità, i gruppi religiosi e blocchi di civiltà, il dialogo del rispetto e della relazione è l’unica cosa che serve.

In un mondo altamente secolarizzato, guidato dalla logica di mercato, privo di valori e materialistico, fedeli sinceri di diverse tradizioni religiose devono unirsi, ispirarsi e aiutarsi l’un l’altro.

Il dialogo interreligioso sale a nuovi livelli quando si occupa di esperienze religiose attuali. Ognuno è profondamente edificato quando sente la descrizione di un’esperienza religiosa reale in un’altra tradizione. L’incontro con il divino è un’esperienza che cambia la vita. In questa era di scomparsa dei valori e di assenza di convinzioni morali, cerchiamo l’assistenza di persone disposte ad aiutare. Gesù in qualche modo interessa a più persone di quanto immaginiamo, purchè il suo vero volto si renda manifesto.

Mons. Menamparampil, come valuta il processo di inculturazione tra le culture tribali dell’Asia?

Non sono d’accordo quando si parla di “inculturazione” come una specie di operazione chirurgica o ingegneria genetica. Io la considero piuttosto un felice incontro tra due tipi di esperienze umane.

Le esperienza storiche e sociali di un particolare gruppo tribale hanno dato forma all’identità di una comunità, con la propria visione del mondo e valori. Se una comunità crede che le proprie identità e tradizioni siano minacciate, assume un atteggiamento difensivo. Oggi ciò accade ovunque nel mondo. Se una comunità percepisce un aumento della minaccia, la sua difesa può prendere una forma radicale.

L’inculturazione cristiana non deve diventare qualcosa di simile ad un’operazione artificiale di cosmetica o ad un adattamento ornamentale. Essa è il tocco vivificante di Cristo, un incontro stimolante con il suo messaggio, dove il meglio di una tradizione inizia a fiorire in un modo nuovo e meraviglioso. Se c’è possibilità di autocorreggersi ed esempi di condivisione con altre comunità religiose, questo può avvenire solo in un contesto di crescita della comunità che mantiene il suo genio originale.

Il miglior aiuto all’evangelizzazione è di chi conosce come portare in vita il meglio dei valori e delle tradizioni di una comunità.

E a proposito dell’impegno missionario a favore di poveri?

La mia risposta è semplice: quando uno vuol far funzionare la generosità, è attirato verso i poveri. Le loro esigenze saranno mescolate alla vostra generosità. Essi moltiplicheranno le vostre energie, vi daranno la forza di fare cose incredibili. Non c’è alcuna sorpresa, e anche Madre Teresa diceva di solito: “I poveri sono i nostri insegnanti”. San Vincenzo de’ Paoli ha usato qualche espressione simile.

Ho già detto dei vari bisogni dei poveri. Voglio aggiungere solo una cosa. Ho la sensazione che i più poveri sono quelli che sono più distanti da Dio. In questo Anno della Misericordia, avviciniamoci a loro e aiutiamoli a riscoprire la strada verso Dio.

E come possiamo affrontare i profondi problemi all’interno della società?

Si può aggiungere anche un’altra categoria oltre ai poveri: coloro che ci osteggiano, odiano quello in cui crediamo e i nostri valori, ci minacciano e ci perseguitano oltre ogni limite. È vero che possiamo autodifendere i nostri diritti attraverso la forza della legge e il peso dell’opinione pubblica. Abbiamo anche il compito di identificare noi stessi con loro.

Come la vittima è il nostro fratello o sorella, così lo è anche l’aggressore. È pensando a lui che Cristo ha pianto e ha versato lacrime soffrendo sulla croce. È dalla stessa sofferenza nei nostri cuori che proviene la nostra profondità durante l’adorazione eucaristica. Se queste cose non sono parte della nostra lotta interiore, la nostra devozione eucaristica manca di profondità.

Il potere del male è sconfitto solo quando siamo condotti fuori dal nostro mondo interiore dal nostro fratello o sorella. Le ferite storiche non possono essere guarite dalla persuasione immediata. Invece, mettendo il nostro peso nel cammino della persuasione, noi acceleriamo la venuta del Regno. Anche se sono sicuro che molti non saranno d’accordo con me.

Queste cose vanno al di là delle nostre possibilità pratiche, ma la nostra evangelizzazione diventa convincente solo quando le persone si accorgono che sappiamo guardare oltre l’orizzonte, che siamo persone di fede, che le realtà ultime di cui parliamo è la forza vivente con noi. Lasciateci continuare a credere nell’impossibile e tendiamo verso di esso come testimonianza della nostra fede. 

Infine, in che modo il Congresso Eucaristico Internazionale può incoraggiare la missione dei cristiani?

In Asia i raduni di preghiera attirano folle più numerose degli eventi sportivi o delle forme di intrattenimento di qualsiasi tipo. Questa è la risposta migliore ai militanti atei che continuano a sostenere che la religione sta scomparendo. Durante le preghiere di massa il ricco e il povero diventano uguali. Lì essi ricaricano le loro energie per un altro round di servizio generoso. In questo senso il Congresso Eucaristico Internazionale nelle Filippine può aiutare a far rivivere la fede nei cattolici e motivare tutti coloro riuniti a Cebu – una volta rientrati a casa – a sorreggere la testimonianza della loro fede con forza spirituale raddoppiata.

(Ha collaborato Nirmala Carvalho)

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