27/09/2018, 11.56
LIBANO - SIRIA - ONU
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Aoun all’Onu: garantire un rientro ‘sicuro e permanente’ dei profughi siriani

Discorso “controcorrente” del presidente libanese all’Assemblea generale. Il ritorno dei rifugiati non deve essere legato a una “soluzione politica” che resta incerta. L’emergenza ha causato un collasso economico, demografico e sociale nel Paese dei cedri. Attacco agli Stati Uniti per la decisione di trasferire l’ambasciata a Gerusalemme. 

New York (AsiaNews/Agenzie) - Un discorso “controcorrente” e critico verso le politiche adottate dalle potenze mondiali in Medio oriente che hanno alimentato guerre e conflitti, innescando al contempo alcune fra le peggiori crisi umanitarie degli ultimi decenni, come l’emergenza profughi siriani. Nel suo intervento di ieri all’Assemblea generale delle Nazioni Unite al Palazzo di Vetro a New York, il presidente libanese Michel Aoun si è rivolto alla comunità internazionale perché si faccia carico della questione rifugiati [siriani e palestinesi], che rischia di affossare il Paese dei cedri.

Pur senza citare in prima persona gli Stati Uniti e il presidente Donald Trump, il capo di Stato ha confermato la posizione del Libano contraria “all’insediamento” e alla successiva stabilizzazione di migranti e rifugiati. Di contro, egli invoca un “ritorno decente, sicuro e permanente” in patria di quanti hanno abbandonato la Siria a causa della guerra. Il loro rientro, aggiunge, non va legato a una “soluzione politica” che, al momento, appare ancora “incerta”. 

“Il numero considerevole [di sfollati siriani] - ha sottolineato Aoun - ha avuto delle ripercussioni gravi sulla società libanese a più livelli: della sicurezza, con l’aumento del tasso di criminalità di oltre il 30%; economico, con un dato sulla disoccupazione che ha raggiunto il 21%; demografico, con una densità di abitanti per km quadrato che oggi varia da 400 fino a 600”. 

Il presidente sottolinea le “risorse limitate” del Paese e gli scarsi aiuti giunti in questi anni dalla comunità internazionale; a questo si è aggiunto, nel recente periodo, la decisione di Washington di tagliare i finanziamenti all’Agenzia Onu per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (Unrwa), molti dei quali si trovano proprio in Libano. 

“A questo - prosegue - aggiungiamo che non potremo portare ancora a lungo questo fardello, mentre la maggior parte delle regioni dalle quali provengono i migranti della Siria si possono considerare oggi sicure”. Aoun chiarisce infine di aver voluto sempre un “rientro sicuro” per i rifugiati siriani, che è ben diverso dal “ritorno su base volontaria”. 

Il problema dei profughi è stato affrontato in questi giorni anche dal patriarca maronita card. Beshara Raï nel contesto della visita ufficiale in Canada. Il porporato ha definito il milione e mezzo di profughi - su un totale di poco superiore ai quattro milioni di abitanti - un “fardello insostenibile” che rischia di affossare il Paese. Da qui l’appello di Aoun alle Nazioni Unite per un “ritorno sicuro e permanente” dei migranti “nella loro terra” e respingere “il mercanteggio” politico e diplomatico che viene fatto sulla loro pelle. 

Toccando la questione palestinese e dei rifugiati in Libano, Aoun ha condannato “gli approcci della politica internazionale verso il Medio oriente”, che mancano “in modo crudele” del senso di “giustizia”. Questi approcci, sottolinea, “dicono una cosa e il suo esatto contrario, seminando il dubbio fra i popoli della regione”. “La causa palestinese - avverte - illustra in modo perfetto questa situazione” e il senso di “impunità” che la caratterizza ha causato “numerose guerre in Medio oriente e innescato una resistenza che non finirà fino a che non verranno eliminare le iniquità”.  

Rilanciando il modello libanese come esempio di dialogo interreligioso e interculturale, Aoun ha condannato infine [pur senza nominare gli Stati Uniti] decisioni dell’ultimo periodo che hanno riguardato “il trasferimento di alcune ambasciate a Gerusalemme” e la proclamazione della città quale capitale di Israele. Decisioni che hanno provocato conseguenze gravi e che sono state prese nonostante il voto contrario dell’Assemblea generale Onu. 

 

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