Ancora uccisi. L’Onu chiede solidarietà internazionale per il popolo e la democrazia in Myanmar
Secondo media locali, tre giorni fa vi sono stati 63 uccisi, solo a Yangon. L’appello del segretario dell’Onu Antonio Guterres agli “attori regionali”. Danni per 32 fabbriche cinesi. Boicottaggio contro i telefonini Huawei: hanno permesso ai militari l’uso della tecnologia di riconoscimento facciale.
Yangon (AsiaNews) – Almeno 20 persone sono state uccise ieri dopo un altro giorno di proteste contro il colpo di Stato militare. Lo conferma oggi l’Associazione per l’assistenza ai prigionieri politici (Aapp), un gruppo di vigilanza locale, preoccupata del fatto che “le vittime stanno aumentando in modo drastico”. Secondo l’Aapp, dal 1° febbraio, data d’inizio del colpo di Stato, più di 180 persone sono state uccise. Molte di loro sono dimostranti che hanno partecipato alle manifestazioni, ma altre sono civili che sono stati uccisi solo perché di trovavano nelle vicinanze o nella linea di fuoco delle forze di sicurezza. A Yangon, due donne sono state uccise in casa, con proiettili sparati dai soldati nelle strade; uno spazzino che raccoglieva immondizie è stato buttato a terra da un soldato ed è stato ucciso sul colpo.
Secondo Myanmar Now, un giornale locale, il 14 marzo, domenica scorsa, è stato finora il giorno più violento, con almeno 63 uccisi solo a Yangon. Ieri sono morti molti feriti gravi negli incidenti di due giorni fa.
I Paesi occidentali – primi fra tutti Usa e Gran Bretagna - condannano la violenza della giunta. Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, attraverso il suo portavoce Stephane Dujarric, ha chiesto ieri alla comunità internazionale e agli “attori regionali di unirsi in solidarietà con il popolo del Myanmar e con le loro aspirazioni democratiche”.
Fra gli “attori regionali” vi è la Cina, che la popolazione sospetta di simpatie verso la giunta. Tali sospetti sono incrementati da un profondo sentimento anti-cinese, che cova da tempo, per l’invasione di merci e fabbriche della Cina nel Paese e per la situazione di quasi schiavismo in cui vivono i birmani che lavorano per le fabbriche cinesi.
Tre giorni fa nel quartiere di Hlaing Tharyar sono state incendiate diverse fabbriche di proprietà cinese. Il Global Times, quotidiano di Pechino vicino alla leadership, afferma che le fabbriche cinesi colpite sono 32, con un danno che si aggira sui 37 milioni di dollari Usa. Due impiegati cinesi sono stati feriti.
Pechino ha bloccato a più riprese una condanna del golpe da parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu, insieme a Russia, Vietnam e India. Ma ha anche precisato che non apprezza la situazione attuale. Dopo gli incidenti di tre giorni fa, l’ambasciata cinese in Myanmar ha chiesto che terminino “tutti gli atti di violenza”, che siano “puniti i colpevoli secondo la legge e che siano assicurate la sicurezza delle vite e le proprietà delle compagnie cinesi e del personale in Myanmar”.
Per tutta risposta, sui social si diffondono appelli per boicottare i prodotti cinesi. Fra i primi prodotti colpiti vi sono i telefonini Huawei: secondo i dimostranti, questa ha aiutato l’esercito ad applicare la tecnologia con riconoscimento facciale che la giunta usa per andare ad arrestare di notte i capi delle manifestazioni e i membri della Lega per la democrazia.