13/05/2009, 00.00
VATICANO-PALESTINA
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Papa: i palestinesi hanno diritto a una patria, ma rifiutino il terrorismo

di Franco Pisano / inviato
A Betlemme Benedetto XVI “supplica” tutti i popoli della regione di accantonare i rancori. Per due volte ricorda il conflitto di Gaza. Ai palestinesi chiede di divenire “ponte di dialogo”. Abbas parla di “apartheid”
Betlemme (AsiaNews) – Il Papa appoggia il diritto dei palestinesi ad una “sovrana patria”, “sicura e in pace con i suoi vicini, entro confini internazionalmente riconosciuti”, “supplica” tutti i popoli della regione, in guerra da 60 anni “ad accantonare qualsiasi rancore e contrasto”, spera che vengono “allegeriti” i problemi di sicurezza, che hanno dato origine a pesanti difficoltà della vita economica, sociale e familiare delle popolazioni e che proceda la ricostruzione di Gaza, invita a rifiutare il terrorismo e soprattutto a “non avere paura”, di “edificare la cultura della pace e del rispetto reciproco che potranno garantire un futuro migliore”.
 
E’ giornata di festa a Betlemme: negozi chiusi, bandiere palestinesi e del Vaticano ovunque, decine di striscioni che danno il benvenuto a Benedetto XVI, i cui ritratti, come quelli del presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas, occhieggiano da tutte le parti. Man mano che ci si avvicina alla piazza della Mangiatoia, dove il Papa celebra messa si odono trombe e tamburi. Sono anche arrivati un folto gruppo di scout, ragazzi e ragazze, che marciano e che ai tamburi hanno unito inattese cornamuse.
 
Il sole è caldo, ma non spaventa le persone venuta pure da altri Paesi. C’è un gruppo anche da Gaza, al quale gli israeliani hanno concesso un inusuale permesso di venire in Cisgiordania. Benedetto XVI vi arriva passando attraverso una grande porta di metallo che interrompe il muro di sicurezza costruito dagli israeliani e che incombe su quasi tutta Betlemme. C’è una chiesetta in una delle strade che si spengono sul muro, soffocata dalla barriera di cemento. Abbas, nel suo saluto al Papa parla di “apartheid”.
 
“So – gli risponde Benedetto XVI - quanto avete sofferto e continuate a soffrire a causa delle agitazioni che hanno afflitto questa terra per decine di anni. Il mio cuore si volge a tutte le famiglie che sono rimaste senza casa”. “A quelli fra voi che piangono la perdita di familiari e di loro cari nelle ostilità, particolarmente nel recente conflitto di Gaza, offro l’assicurazione della più profonda compartecipazione e del frequente ricordo nella preghiera. In effetti, io prendo con me tutti voi nelle mie preghiere quotidiane, ed imploro ardentemente l'Eccelso per la pace, una pace giusta e durevole, nei territori Palestinesi e in tutta la regione”.
 
Nel piccolo palazzo presidenziale dell’Autorità nazionale palestinese, Benedetto XVI fa sue le ragioni dei palestinesi, ma al tempo stesso lancia un forte invito alla riconciliazione, che più tardi, alla messa, diverrà una esortazione a sperare. “La Santa Sede – dice ad Abbas - appoggia il diritto del Suo popolo ad una sovrana patria Palestinese nella terra dei vostri antenati, sicura e in pace con i suoi vicini, entro confini internazionalmente riconosciuti. Anche se al presente questo obiettivo sembra lontano dall’essere realizzato, io incoraggio Lei e tutto il Suo popolo a tenere viva la fiamma della speranza, speranza che si possa trovare una via di incontro tra le legittime aspirazioni tanto degli Israeliani quanto dei Palestinesi alla pace e alla stabilità”. Ricordando le parole di Giovanni Paolo II, non vi può essere “pace senza giustizia, né giustizia senza perdono”, “supplico – esclama - tutte le parti coinvolte in questo conflitto di vecchia data ad accantonare qualsiasi rancore e contrasto che ancora si frapponga sulla via della riconciliazione, per arrivare a tutti ugualmente con generosità e compassione, senza discriminazione. Una coesistenza giusta e pacifica fra i popoli del Medio Oriente può essere realizzata solamente con uno spirito di cooperazione e mutuo rispetto, in cui i diritti e la dignità di tutti siano riconosciuti e rispettati. Chiedo a tutti voi, chiedo ai vostri capi, di riprendere con rinnovato impegno ad operare per questi obiettivi. In particolare, chiedo alla Comunità internazionale di usare della sua influenza in favore di una soluzione. Credo e confido che tramite un onesto e perseverante dialogo, con pieno rispetto delle aspettative di giustizia, si possa raggiungere in queste terre una pace durevole”.
 
“Prego anche – aggiunge ancora - perché, con l’assistenza della Comunità internazionale, il lavoro di ricostruzione possa procedere rapidamente dovunque case, scuole od ospedali siano stati danneggiati o distrutti, specialmente durante il recente conflitto in Gaza”. Agli abitanti della Striscia, durante la messa, invierà “un caloroso abbraccio”, condoglianze per le perdite e solidarietà. In conclusione un appello “ai tanti giovani presenti oggi nei Territori Palestinesi: non permettete che le perdite di vite e le distruzioni, delle quali siete stati testimoni suscitino amarezze o risentimento nei vostri cuori. Abbiate il coraggio di resistere ad ogni tentazione che possiate provare di ricorrere ad atti di violenza o di terrorismo. Al contrario, fate in modo che quanto avete sperimentato rinnovi la vostra determinazione a costruire la pace”.
 
L’esortazione a guardare con speranza e positività al futuro diviene centrale durante la messa. Nella piazza che fiancheggia la basilica della Natività, sopra all’altare c’è una cometa a due code: di fronte una enorme bandiera palestinese alta due piani di un palazzo. C’è qualche migliaio di persone, a riempire quasi interamente la piazza. Folla piccola in sé, ma grande per i numeri dei cristiani di questa zona.
 
A Betlemme, naturalmente, il discorso del Papa parte dalla Natività. “Nell’assumere la nostra carne, con tutte le sue debolezze, e nel trasfigurarla con la potenza del suo Spirito, Gesù ci ha chiamato ad essere testimoni della sua vittoria sul peccato e sulla morte. E questo è ciò che il messaggio di Betlemme ci chiama ad essere: testimoni del trionfo dell’amore di Dio sull’odio, sull’egoismo, sulla paura e sul rancore che paralizzano i rapporti umani e creano divisione fra fratelli che dovrebbero vivere insieme in unità, distruzioni dove gli uomini dovrebbero edificare, disperazione dove la speranza dovrebbe fiorire!”.
 
“Paolo – prosegue il Papa - trae dall’Incarnazione una lezione che può essere applicata in modo particolare alle sofferenze che voi, i prescelti da Dio in Betlemme, state sperimentando: ‘È apparsa la grazia di Dio – egli dice – che ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della venuta della nostra beata speranza, il Salvatore Cristo Gesù (Tt 2,11-13). Non sono forse queste le virtù richieste a uomini e donne che vivono nella speranza? In primo luogo, la costante conversione a Cristo che si riflette non solo sulle nostre azioni, ma anche sul nostro modo di ragionare: il coraggio di abbandonare linee di pensiero, di azione e di reazione infruttuose e sterili. La cultura di un modo di pensare pacifico basato sulla giustizia, sul rispetto dei diritti e dei doveri di tutti, e l’impegno a collaborare per il bene comune. E poi la perseveranza, perseveranza nel bene e nel rifiuto del male. Qui a Betlemme si chiede ai discepoli di Cristo una speciale perseveranza: perseveranza nel testimoniare fedelmente la gloria di Dio qui rivelata nella nascita del Figlio suo, la buona novella della sua pace che discese dal cielo per dimorare sulla terra. ‘Non abbiate paura!’. Questo è il messaggio che il Successore di San Pietro desidera consegnarvi oggi, facendo eco al messaggio degli angeli e alla consegna che l’amato Papa Giovanni Paolo II vi ha lasciato nell’anno del Grande Giubileo della nascita di Cristo”.
 
“Contate sulle preghiere e sulla solidarietà dei vostri fratelli e sorelle della Chiesa universale, e adoperatevi con iniziative concrete per consolidare la vostra presenza e per offrire nuove possibilità a quanti sono tentati di partire. Siate un ponte di dialogo e di collaborazione costruttiva nell’edificare una cultura di pace che superi l’attuale stallo della paura, dell’aggressione e della frustrazione. Edificate le vostre Chiese locali facendo di esse laboratori di dialogo, di tolleranza e di speranza, come pure di solidarietà e di carità pratica. Al di sopra di tutto, siate testimoni della potenza della vita, della nuova vita donataci dal Cristo risorto, di quella vita che può illuminare e trasformare anche le più oscure e disperate situazioni umane. La vostra terra non ha bisogno soltanto di nuove strutture economiche e politiche, ma in modo più importante – potremmo dire – di una nuova infrastruttura “spirituale”, capace di galvanizzare le energie di tutti gli uomini e donne di buona volontà nel servizio dell’educazione, dello sviluppo e della promozione del bene comune. Avete le risorse umane per edificare la cultura della pace e del rispetto reciproco che potranno garantire un futuro migliore per i vostri figli. Questa nobile impresa vi attende. Non abbiate paura!”.
 
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