Chiesa cinese: fiducia e cautela sull'invito del papa a Xi Jinping in Vaticano
Roma (AsiaNews) - La notizia che papa Francesco ha invitato il presidente cinese Xi Jinping a un incontro in Vaticano per parlare della "pace nel mondo" in una comunità internazionale "multipolare" è presente ormai in moltissimi siti cinesi cattolici. Fra i fedeli della Chiesa ufficiale e non ufficiale vi è molta fiducia in questo invito. Un sacerdote del nord della Cina dice ad AsiaNews: "E' una cosa buona per il bene di tutto il mondo. Il papa, che è un personaggio importante sulla scena mondiale, invita il nostro presidente, riconoscendo che anche lui è un personaggio importante e insieme cercano di costruire la pace nel mondo. Papa Francesco ha fiducia nel presidente cinese e sull'influenza che la Cina può avere sulla pace nel mondo".
La fiducia è frenata dalla cautela. Anzitutto, occorre aspettare la risposta di Xi Jinping e "non sappiamo se questa avverrà subito o se ci vorrà molto tempo". In secondo luogo, l'incontro fra il pontefice e Xi Jinping sulla pace, non tratterà delle situazioni difficili della Chiesa in Cina: la mancanza di libertà religiosa, i vescovi arrestati o posti in isolamento, la campagna di distruzione delle chiese nel Zhejiang e altrove. Ma questo è comprensibile: "Per ora - afferma il sacerdote - è importante mostrare fiducia nel rapporto con Xi Jinping. I problemi della Chiesa sono un secondo passo, che avverrà in seguito".
Cosa è successo
Con l'eccezione dei media statali della Cina popolare, nei media mondiali è girata in questi giorni la notizia pubblicata il 16 settembre scorso dal sito argentino Infobae, secondo cui Papa Francesco avrebbe fatto recapitare una sua lettera personale al presidente Xijinping. La missiva sarebbe stata consegnata a stretti collaboratori di Xi da parte di Ricardo Romano, esponente del peronismo, e di José Lujan, rappresentante dell'Accademia cinese delle scienze presso il Mercosur.
L'iniziativa del papa sarebbe il risultato di un incontro tenuto nella casa Santa Marta il 3 settembre scorso fra il pontefice, i due emissari argentini, il card. Piero Parolin, segretario di Stato, mons. Dominique Mamberti, incaricato per i rapporti con gli Stati (v. foto).
Secondo dichiarazioni di Ricardo Romano a "Infobae", nello scambio di opinioni a Santa Marta si è sottolineato il bisogno di stabilire vincoli con Pechino "per contribuire così alla presa di decisioni in modo multipolare per garantire un superiore grado di governance al servizio di una società planetaria più fraterna e con maggiore equità sociale".
La Cina cerca da tempo un'uscita al dominio economico e commerciale degli Stati Uniti: propone sempre più contratti da pagare in yuan, superando il dollaro Usa; valorizza i rapporti fra i Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa) per un'influenza anche nei Paesi in via di sviluppo; verso i dossier Iran, Iraq, Siria, Israele-Palestina ha sempre preso posizioni smarcandosi dalla posizione Usa (e israeliana). Nei confronti di queste tematiche la posizione di Cina e Vaticano sono molto simili. Un invito vaticano a costruire in modo effettivo un mondo "multipolare" trova perciò il cuore aperto di Pechino.
I problemi interni alla Cina
E' però difficile dire se l'invito personale di papa Francesco troverà accoglienza a Pechino. Una grossa frangia del Partito vede il Vaticano ancora con gli occhiali di Mao, come un "cane randagio al servizio del capitalismo", anche se lo stile di papa Francesco - così critico della società del benessere, della finanza mondiale, come rappresentante del mondo latino-americano - sta aprendo una falla nel muro dell'ideologia. Al ritorno dal suo viaggio in Corea del sud, dopo le sue avances verso la Cina, il Global Times, giornale legato alla pubblicazione ufficiale del Quotidiano del popolo, si è stranamente sdilinquito in elogi sul papa "del terzo mondo", che "stima la Cina e le mostra rispetto".
Il punto è che sia la frangia "stalinista", sia quella "liberal", vedono con timore (e forse terrore) possibili aperture alla libertà religiosa dei cattolici perché queste aprirebbero una falla molto più pericolosa per le rivendicazioni alla libertà di altri gruppi religiosi (cristiani protestanti, musulmani, buddisti tibetani, ...) e di gruppi democratici. Il timore (e forse il terrore) dei quadri del Partito è che le aperture alla libertà portino alla fine del Partito stesso.
Lo stesso Xi Jinping ha detto che non bisogna lasciare spazio ai critici del Partito e del suo monopolio del potere per non rischiare di crollare come l'Unione sovietica.
Che vi sia un rapporto fra libertà religiosa, rapporti Cina-Vaticano e democrazia, è dimostrato non solo dalla dottrina sociale della Chiesa - che nei seminari cinesi viene insegnata quasi di nascosto - ma da quanto succede ad Hong Kong. Qui la Chiesa cattolica si è schierata al fianco di tutti coloro che domandano il suffragio universale, l'elezione diretta del capo dell'esecutivo, superando uno schema di stampo coloniale che risale all'impero britannico. Nelle scorse settimane, una personalità ecclesiale di Hong Kong è stata visitata da ufficiali cinesi e hanno fatto capire che troppo sostegno alla democrazia rischia di far allontanare ancora di più i possibili e sognati rapporti fra Pechino e la Santa Sede.
A questo proposito, un osservatore della Cina ad Hong Kong, commentando l'invito del papa a Xi Jinping, ha detto con realismo: "Vediamo se Xi Jinping risponde. Se risponde, è un buon inizio. Ma per ora non c'è né da stare allegri, né da stare tristi. In ogni modo, è un bene parlare della pace nel mondo, anche se non si affrontano i problemi della pace interna alla Cina".
Il ping -pong
L'invito di Francesco a Xi Jinping ricorda molto la famosa partita a ping-pong fra Stati Uniti e Cina nel 1971, che aprì la strada a un incontro fra Richard Nixon a Mao Zedong l'anno seguente e portò in seguito alle relazioni diplomatiche fra Usa e Cina.
La proposta di papa Francesco è entusiasmante: una grande mossa umana e diplomatica, che mostra passione verso la Cina e desiderio che essa si affretti a prendere tutte le responsabilità internazionali da grande Paese qual è. In molti pensano ormai a un mondo multipolare e a una riduzione del dominio Usa sugli affari mondiali, vista la serie di fallimenti da essi raccolti in Medio oriente e in Europa con l'Ucraina. E sono ormai tanti che credono fermezza che la Cina (forse insieme con l'India) abbia un grande destino per la società mondiale.
Certo, non si può dimenticare che la Cina, mentre osanna la multipolarità, sta creando un nuovo sistema coloniale in Africa e in America latina, imponendo il suo mercato e bruciando le industrie locali; mentre esalta la pace e il dialogo in Siria e in Iraq, soffoca in patria chi - come l'accademico Ilham Tohti - vorrebbe il dialogo fra musulmani uiguri e cinesi; mentre afferma di voler migliorare i rapporti con la Santa Sede, soffoca la democrazia ad Hong Kong, distrugge le chiese nel Zhejiang, mette sotto controllo vescovi ufficiali, fa sparire vescovi sotterranei, rinchiude sacerdoti nei campi di lavoro forzato. Questo mostra che la Cina, le partite di ping-pong le gioca su diversi tavoli. Forse papa Francesco dovrebbe cercare di non ridursi a giocare solo sul tavolo del rapporto con Xi Jinping, ma anche su diversi tavoli aiutando la Chiesa cinese, denunciando le persecuzioni, chiedendo libertà per i vescovi in prigione, ordinando nuovi vescovi in quelle diocesi che sono vacanti da anni, senza aspettare il semaforo verde del Partito.
Tutto questo ha a che fare con la pace nel mondo perché una Cina più armonica e più rispettosa dei diritti della sua popolazione sarà più in pace all'interno e porterà maggiori frutti di pace all'esterno. Anzi, è forse una via più efficace. Del resto, Karl Marx diceva che "i filosofi finora hanno pensato il mondo; ora è giunto il tempo di cambiarlo". Parafrasandola, potremmo dire: i filosofi (e i presidenti) hanno pensato la pace; ora è tempo di costruirla nei fatti.