04/07/2017, 12.29
VIETNAM
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“Ottimista” sul futuro, malgrado tutto, il presidente dei vescovi vietnamiti

“Comunisti e cattolici si capiscono molto meglio”. “Il regime comunista è sempre un regime dittatoriale le autorità del quale hanno la tendenza a opprimere gli oppositori”, compresi sacerdoti e blogger cattolici. Le stesse autorità che, per altro verso, “rubano” i terreni dei monasteri e vogliono escludere i cattolici da settori come la scuola o la sanità”.

Hue (AsiaNews/EdA) – Si dice “ottimista” sul futuro dei rapporti tra cattolici e governo vietnamita mons. Joseph Nguyên Chi Linh, arcivescovo di Hue e presidente della Conferenza episcopale del suo Paese. “Comunisti e cattolici – ha detto in una intervista a Eglises d’Asie – si capiscono molto meglio che in altri momenti”.

E questo malgrado, a quanto egli stesso afferma, “il regime comunista è sempre un regime dittatoriale le autorità del quale hanno la tendenza a opprimere gli oppositori”, compresi sacerdoti e blogger cattolici. Le stesse autorità che, per altro verso, “rubano” i terreni dei monasteri, vogliono escludere i cattolici da settori come la scuola o la sanità, nascondono alla popolazione le terribili conseguenze dell’inquinamento, non vogliono che ci sia un rappresentante vaticano residente nel Paese, cercano di interferire nelle nomine dei vescovi e in qualsiasi attività che la Chiesa voglia intraprendere.

“Sono ottimista – dichiara- perché dopo un lungo periodo di coabitazione, i membri della società cercano di riavvicinarsi. Comunisti e cattolici si capiscono meglio che in altri momenti. I cattolici sono sempre meno sospettati. In altri tempi si era troppo comandati da quello che diceva la propaganda. Ormai si ha la possibilità di guardare con i propri occhi e si è scoperto che i cattolici non sono così cattivi come si pensava. E poi la testimonianza dei cattolici diviene sempre più positiva. L’odio, il rancore diminuiscono. I rapporti sono sempre più amichevoli. Ci vuole coraggio per superare questo periodo. Bisogna essere pazienti, non si può cambiare il Paese in cinque minuti”.

L’arcivescovo spiega poi la vicenda che lo scorso 28 giugno ha visto assalire e vandalizzare il monastero benedettino di Thiên An. Il fatto è che la legge non riconosce la proprietà privata e questo vale anche per i circa 107 ettari di terreno del monastero. Le autorità li hanno “rubati per venderli a imprese straniere”. “Si infischiano” dei diritti dei monaci  e fanno quello che vogliono. Così hanno abbattuto una croce e quando i monaci l’hanno rialzata c’è stato l’attacco al convento.

Sacerdoti e blogger minacciati o arrestati rientrano invece nella logica del “regime dittatoriale”. Nella stessa logica va visto l’atteggiamento verso il disastro ecologico del Formosa Plastic Group. “Il governo ha sempre paura di riconoscere la verità riguardo allo scandalo Formosa” E per gli indennizzi, “si è sempre di fronte allo stesso problema di corruzione”.

Quanto alla nuova legge “sui credenti e le religioni”, “in generale si osservano degli arretramenti, non dei progressi; noi non abbiamo ancora una vera libertà. Per esempio, esistono numerosi settori nei quali la Chiesa non ha il diritto di impegnarsi, come la sanità, l’educazione, ecc. Non si è usciti dalla mentalità del sistema detto ‘della domanda e della concessione’ (‘xin-cho’)” per il quale si deve chiedere l’autorizzazione per qualsiasi iniziativa e le autorità possono concederla o no.

“Delusione” è poi dichiarata a proposito del mancato diritto del nunzio vaticano a risiedere in Vietnam. “E’ sempre ‘rappresentante non residente della Santa Sede’. Vive a Singapore e ha il diritto di restare in Vietnam solo per un mese, poi deve andar via. Tutti i suoi spostamenti in Vietnam debbono essere approvati, autorizzati dal Ministero degli esteri vietnamita. Le nostre aspettative sono misurate, ma il governo non osa andare avanti senza l'approvazione delle autorità cinesi”.

Le vocazioni, infine, sono molto numerose in Vietnam. Sia nei seminari che negli ordini religiosi. "Abbiamo ottenuto una certa libertà nell’organizzazione delle attività dei centri di formazione”. Resta teoricamente in vigore, “ma non viene più applicata” la politica per la quale serviva l’approvazione statale per mandare  un giovane in seminario e ogni diocesi aveva il diritto di mandare sei o otto candidati ogni due anni. Ed è anche relativamente facile, ora, mandare i giovani a studiare all’estero. “Questa è la nostra speranza. Coloro che ritornano dall'estero tornano a lavorare nei nostri centri di formazione e ne migliorano gradualmente, la qualità”.

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