L’aiuto necessario di Pechino e il rischio del saccheggio
Si è aperto a Shanghai l’annuale incontro dell’African Development Bank. Pechino fa grandi offerte e affermazioni di aiuto sincero, ma i Paesi africani sono cauti. Hanno bisogno di aiuti che spesso l’Occidente nega, ma temono che Pechino saccheggi le materie prime e crei un nuovo colonialismo economico.

Shanghai (AsiaNews/Agenzie) – E’ iniziato oggi a Shangai l’annuale incontro dell’African Development Bank. E’ la prima volta che l’incontro dell’Adb avviene in Asia, a conferma della grande importanza della Cina per il Continente. Vi partecipano i ministri delle Finanze e i governatori delle Banche Centrali di oltre 50 Stati.La Cina rivendica un ruolo leader nell’economia e nello sviluppo del Continente. Gli Stati africani apprezzano le offerte ma le valutano con attenzione e timore.

Nel discorso di apertura il premier cinese Wen Jiabao ha evidenziato che per la crescita dell’Africa “è indispensabile l’aiuto internazionale” e ha invitato l’intero mondo “ad erogare gli aiuti promessi ed a ridurre e cancellare il debito dei Paesi africani”. Wen ha sottolineato che Pechino “aiuta in modo sincero lo sviluppo sociale ed economico dell’Africa, a beneficio della gente e delle Nazioni africane”. La Cina ha cancellato debiti per 10,9 miliardi di yuan (1,42 miliardi di dollari) e promesso di abbonare altri 10 miliardi di yuan. Esperti commentano che Pechino vuole così anzitutto rispondere alle critiche perché boicotta l’embargo Onu contro il governo del Sudan per far cessare il massacro della popolazione nel Darfur. La Cina vi compra grandi quantità di petrolio ed è accusata di vendergli armi.

Pechino è anche criticata perché concede finanziamenti ai Paesi africani senza preoccuparsi di come le somme sono utilizzate e collabora con governi repressivi o corrotti, mentre gli operatori occidentali chiedono garanzie che i fondi vadano a beneficiare davvero la popolazione. In cambio dei prestiti, la Cina spesso ottiene petrolio e materie prime e il diritto di impiantare raffinerie e fabbriche. Le sue fabbriche sono state accusate di sfruttare gli operai locali con basse paghe e misere condizioni di lavoro e di inondare il mercato con prodotti economici strangolando le nascenti industrie locali.

Pechino annuncia che, tramite la China Development Bank, intende concedere nuovi finanziamenti da 1 a 5 miliardi di dollari. Ma Ken Nwaku, consigliere dell’ex presidente di Tanzania Benjamin Mkapa, dice che “promesse e risultati debbono essere controllati con attenzione”. Peter Nyongo, ex ministro keniota, osserva che “la corsa cinese alle materie prime dell’Africa può condurre a un nuovo saccheggio delle risorse naturali del Continente, simile a quello europeo del secolo scorso”.

Esperti osservano inoltre che la Cina eroga prestiti soprattutto per realizzare infrastrutture, come strade, porti, edifici, ma spesso chiede che siano realizzate da ditte cinesi. Queste usano soprattutto operai cinesi, con limitato vantaggio per le povere popolazioni locali: si stima che oltre 700 ditte cinesi lavorino in Africa, con scambi commerciali per 55,5 miliardi di dollari nel 2006. Pechino nel 2005 ha importato dall’Africa merci per 21,1 miliardi di dollari, specie materie prime pregiate, e ha fatto esportazioni per 18,6 miliardi soprattutto di proprie manifatture a basso prezzo.

Sempre più l’Africa teme che l’aiuto cinese non porti a uno sviluppo dell’economia ma a una dipendenza dal commercio e dagli investimenti di Pechino. Amos Kimunya, ministro keniota delle Finanze, si chiede se questa “collaborazione” “sia una benedizione o una rovina”. Trevor Manuel, ministro sudafricano delle Finanze, ritiene evidente che la Cina non opera per “puro altruismo. Il problema è se abbiamo la capacità di negoziare” quanto Pechino offre e chiede in cambio.

Ma Razia Khan, dirigente della Banca Standard Chartered (presente in oltre 50 Stati) ritiene che l’interesse della Cina suscita una nuova positiva attenzione “negli investitori, sia interni che internazionali”.  (PB)