Rajasthan, pressioni per bandire un rito giainista suicida
di Prakash Dubey

Le autorità giainiste convocate dalla Corte suprema per difendere il rito del Santhara, che conduce alla morte. La questione è nata dopo la morte di Vimla Devi, deceduta dopo 13 giorni di digiuno.


Gorakhpur (AsiaNews) – Un millenario rito giainista che conduce al suicidio ha scatenato una serie di controversie nello Stato occidentale del Rajasthan, dove un avvocato indù ha chiesto all'Alta corte locale di bandirlo in quanto "piaga della società".

Vimla Devi, seguace del giainismo di 63 anni, è morta ieri dopo 13 giorni di digiuno auto-imposti in nome dell'antico rituale religioso del Santhara. La Davi seguiva la setta Shwetamber [bianca] che, spiega un religioso giainista, "predica l'allontanamento volontario da cibo, acqua e medicinali per la salvezza dell'anima. Molto spesso il rito viene eseguito da persone anziane e malate, che cercano così di staccare l'anima dal corpo".

Nel caso in questione, il digiuno era stato deciso il 15 settembre, quando un medico ha diagnosticato alla Devi un cancro in stato avanzato. Rifiutando ogni medicina, la seguace della setta bianca ha iniziato il rituale "per allontanarsi dai dolori terreni e raggiungere la salvezza dell'anima".

La sua decisione ha scatenato una battaglia legale presso l'Alta corte del Rajasthan, dove Madhav Mishra, avvocato indù, ha presentato una petizione che definisce il Santhara "una piaga della società, da considerare come un crimine".

Secondo il legale, "la legge che vieta il Sati [rituale indù che prevede l'auto-immolazione delle neovedove sulle pire dei mariti defunti ndr] vuole fermare atti del genere. Il Santhara deve essere bandito". L'Alta corte ha ammesso la petizione ed ha invitato l'Unione indiana, il governo statale e le autorità giainiste "a spiegare perché il rito non dovrebbe essere messo fuori legge".

La risposta della minoranza non si è fatta attendere. I fedeli si sono detti "furiosi" per l'azione di avvocato e giudici "tutti indù, che giudicano sulla base di pregiudizi".

Abishek Jain, uomo d'affari aderente al giainismo, dice: "Quello del Santhara è uno dei rituali più antichi e venerati della nostra religione. E' una tradizione millenaria. Mi chiedo come si possa comparare il Santhara al Sati, che non è altro che violenza contro le donne. Non siamo disposti a tollerare un intervento indù in materia. E' un evidente tentativo di omologare la nostra religione alla loro".

In ogni caso, la Corte ha fissato il prossimo 5 ottobre come prima data per l'audizione delle parti in causa ed ha definito "quello il luogo più adatto per dirimere la controversia".

Un cattolico locale, anonimo per motivi di sicurezza, dice ad AsiaNews che il rituale "non dovrebbe essere considerato spirituale, perché gli essere umani non hanno il diritto di uccidersi. Eppure, esso ha un grande seguito fra i gianisti e l'intervento dei giudici non farà altro che aumentare le controversie in materia. In ogni caso, come cristiani non si può accettare un simile atto di violenza contro la vita umana".