Colombo: con il Covid meno diritti per i lavoratori delle zone speciali
di Melanie Manel Perera

Il settore del tessile e dell'abbigliamento ha finora retto alla pandemia continuando a sostenere l'economia dello Sri Lanka tramite l'esportazione. Ma i sindacati denunciano: il prezzo di tutto ciò è stato pagato dalle lavoratrici impegate nelle zone di libero scambio. Chieste al governo maggiori tutele.


Colombo (AsiaNews) - I lavoratori del tessile e dell’abbigliamento in Sri Lanka stanno cominciando a soffrire gli effetti della terza ondata di Covid-19. Finora il loro settore ha sostenuto l’economia del Paese grazie alle 14 zone di libero scambio che attraggono investimenti stranieri e contribuiscono all’esportazione. In questo modo è stato possibile continuare gli scambi internazionali.

Ora però sei organizzazioni della società civile stanno evidenziando i problemi di questo sfruttamento. In una riunione virtuale di due giorni fa, i sindacati hanno esposto ai media i rischi per la salute e il deterioramento dei diritti dei dipendenti, che in realtà sono per lo più donne provenienti dalle zone rurali del Paese.

“I dipendenti di queste fabbriche hanno affrontato gravi rischi per la salute e lottato fin dall'inizio della pandemia da Covid-19 in Sri Lanka. Inutile dire che si tratta di settori delicati e altamente specializzati dove è impiegata la stragrande maggioranza delle lavoratrici donne”. Ha detto Chamila Thushari, coordinatrice del sindacato collettivo Da-Bindu a Katunayake. “Ci dispiace inoltre dover sottolineare che durante questo periodo sono anche stati considerati 'portatori' della malattia agli occhi del mondo esterno”.

In un appello scritto indirizzato al ministro del Lavoro Nimal Siripala De Silva, i sei enti hanno messo in luce che le condizioni lavorative sono andate peggiorando.

“Allo scoppio della pandemia molti posti di lavoro seguivano le regole anti-covid, ma durante questa terza ondata le cose sono cambiate. I locali non vengono disinfettati e non vengono fornite mascherine chirurgiche o disinfettanti”, ha commentato Chandra Devanarayana, direttore esecutivo del Revolutionary Existence for Human Development.

I lavoratori sono inoltre scoraggiati a fare i tamponi perché se dovessero risultare positivi la capacità del personale sarebbe ridotta e di conseguenza anche gli obiettivi di produzione. 

“Quando le fabbriche sono state chiuse durante la prima ondata, ai lavoratori rimasti a casa non è stato pagato nessun salario”, ha aggiunto Lalitha Ranjani, a capo del sindacato dei lavoratori del tessile. “Il governo aveva stabilito un compenso minimo per il periodo in cui le fabbriche sono rimaste chiuse che non è mai stato pagato”.

Le sei organizzazioni hanno infine puntualizzato che non chiedono un nuovo lockdown, visto che l’economia dello Sri Lanka al momento è sostenuta solo dall’esportazione, ma hanno inviato al governo una serie di raccomandazioni per migliorare le condizioni delle lavoratrici, tra cui un maggior numero di tamponi per i dipendenti, misure minime di distanziamento sociale e la disponibilità di centri di quarantena adeguati.