La mano di Pechino dietro la squalifica di 12 pro-democratici alle elezioni
di Paul Wang

Tutti gli esclusi hanno mostrato di essere ostili alla legge sulla sicurezza. Per il governo di Hong Kong non si tratta di “censura politica”. Per Pechino gli esclusi sono “delinquenti senza scrupoli”. Chris Patten: “Una oltraggiosa purga politica… Ad Hong Kong è divenuto illegale credere nella democrazia”.


Hong Kong (AsiaNews) - Dietro la squalifica di 12 personalità pro-democrazia dal concorrere come candidati alle elezioni, vi è la mano di Pechino. Lo afferma Lau Siu-kai, vice-presidente dell’Associazione cinese per Hong Kong e Macao, un gruppo di lavoro che collabora con la leadership di Pechino.

Intervistato stamane da Rthk, egli ha spiegato che Pechino ha dovuto intervenire a causa della “collusione fra voci ostili esterne [gli Usa] e interne. … Pechino doveva fare qualcosa per prevenire che forze ostili espugnassero il Legco [il parlamento di Hong Kong] e assicurarsi che la sicurezza nazionale fosse salvaguardata”.

Lau Siu-kai cerca di dare un’interpretazione patriottica ad un’operazione che per molti sa di censura e repressione: ieri alle 16 si è diffusa la notizia che il Comitato elettorale del territorio ha squalificato 12 candidati al Legco fra le persone più in vista e più critiche della legge sulla sicurezza.

Fra queste vi sono Joshua Wong, già leader di Demosisto (partito indipendentista ora dissolto), membri del Civic Party come Dennis Kwok, Kwok Ka-ki e Alvin Yeung, Il consigliere di distretto di Tsuen Wan, Lester Shum. Altri nomi sono: Tat Cheng (Civic Party), il localista Ventus Lau; Tiffany Yuen (ex Demosisto), Kenneth Leung, Cheng Kam-mun, l’ex giornalista Gwyneth Ho, il consigliere di distretto Fergus Leung.

Una dichiarazione del governo sottolinea che è proprio l’ostilità di questi candidati alla legge sulla sicurezza che li rende non eligibili.  Per il governo “non si tratta di alcuna censura politica, restrizione di libertà di parola o privazione del diritto di candidarsi alle elezioni”.

La legge sulla sicurezza, ostacolata da molta parte della popolazione di Hong Kong, ma imposta da Pechino, prevede condanne per atti di “secessione, sovversione, terrorismo, collaborazione con forze straniere”. Fra gli esclusi, forse solo qualche ex membro di Demosisto possono essere accusati di “indipendentismo” o di “collusione con forze straniere” (avendo cercato l’aiuto degli Usa per spingere il governo a dialogare con la base). Ma per gli altri vi è solo la loro forte ostilità alla legge sulla sicurezza. Tanto basta per accusarli di “terrorismo”.

In una dichiarazione, l’Ufficio di Pechino per i rapporti con Hong Kong e Macao, afferma che gli squalificati hanno “superato la linea legale di base”. “Come potrebbe il corpo legislativo di Hong Kong… permettere a questi delinquenti senza scrupoli di distruggere [il principio] ‘Un Paese due sistemi’ e la prosperità di Hong Kong nel suo stesso parlamento?”.

Molte diplomazie estere – prime fra tutti quella britannica e quella Usa – hanno condannato la mossa di Pechino su Hong Kong. Il Segretario britannico per gli Esteri Dominic Raab ha fatto notare che l’eliminazione di quei candidati distrugge proprio l’integrità del principio “Un Paese, due sistemi”, che la Cina ha garantito per Hong Kong fin dal 1984 (Joint Declaration).

Chris Patten, ultimo governatore britannico di Hong Kong ha definito l’operazione di Pechino “una oltraggiosa purga politica verso i democratici di Hong Kong… È ormai ovvio che è illegale credere nella democrazia”.